Luca Sandri, “Tirar mattina”

Tirar mattina racconta la notte brava di Aldino, che al compimento dei suoi 33 anni, decide di mettere la testa a posto. Prima però di cominciare la sua nuova vita da uomo adulto e responsabile, vuole festeggiare e decide di farsi un ultimo bicchiere.

Tirar mattina è in scena al Teatro Delfino di Milano dal 12 al 15 maggio. Tratto dal romanzo di Umberto Simonetta, lo spettacolo è diretto da Luca Sandri, che ne è anche protagonista con Gianna Coletti.

La parola a Luca Sandri

Che tipo di personaggio è Aldino?

Aldino è un disadattato ma per sua scelta. Sceglie cioè di non integrarsi con la società del lavoro e delle persone che lui definisce regolari, quelli che sono i nemici che odiano la notte, che amano i giri di poker quando si sta perdendo. Quindi lui per scelta nei primi 33 anni della propria vita decide di chiamarsi fuori da questo tipo di società e vive di espedienti ed imbrogli. Del resto il suo mondo è quello. Lui dice di non aver mai sonno, di non andare mai a dormire e di buttar via le notti in quel modo. Alla fine si deve presentare il primo giorno di lavoro vero, dopo 33 anni di espedienti e di malavita spicciola.

C’è un linguaggio particolare che viene usato in questo spettacolo, giusto?

Sicuramente c’è a monte la parlata lombarda degli anni Cinquanta e Sessanta, ma rileggendo più volte il libro e il copione, c’è un lavoro di invenzione linguistica che mischia un po’ il dialetto milanese con espressioni tipiche lombarde e altre di pura invenzione linguistica e stilistica. Non è tanto una scopiazzatura di quello che si sentiva in certi ambienti: è proprio una rielaborazione di quel tipo di linguaggio, in modo da fare una koiné linguistica molto complessa, variegata e divertente.

Cosa esce dall’unione tra passato e presente?

Che quel passato non c’è più. E’ bello proporre una cosa di questo tipo perché chi ha una certa età riconoscerà sicuramente la gergalità e le ambientazioni di quel periodo. Poi, invece, il resto è pura riscoperta letteraria e in questo caso teatrale, come lo è il linguaggio, ma quel mondo non esiste più. Non ci sono più punti di contatto, salvo forse per certe tradizioni familiari come andare a trovare i genitori.

E’ una ragione di più per smuovere l’interesse delle persone e per vedere come si vivesse 50-60 anni fa a Milano e come si vedessero le cose sotto un’ottica completamente diversa. Anche il tipo di ambientazione, di locali, di gente in giro la notte è un ambiente completamente diverso. Oggi da un certo punto di vista fa anche sorridere, perché quella che allora sembrava aggressività oggi è una cosa all’acqua di rose, se la vogliamo vedere sotto il punto di vista della malavita spicciola.

Che tipo di lavoro hai fatto sul romanzo di Umberto Simonetta per l’adattamento teatrale?

Sono partito dal romanzo. Poi, anni fa, abbiamo trovato fortunosamente a casa della vedova di Nanni Svampa una sceneggiatura del film scritto da Tullio Pinelli, lo sceneggiatore di Federico Fellini. La sceneggiatura non era però mai stata realizzata perché il soggetto del libro era stato venduto più volte ma il film non si è mai fatto. Quello mi è servito per capire che tipo di scansione dare alle varie scene. Poi mi sono ricordato dell’adattamento teatrale dell’Adalgisa di Carlo Emilio Gadda che aveva fatto Simonetta nel 1981. Partendo da lì bisogna fare un lavoro di compilazione: si devono cioè prendere dei pezzi, posporli e anteporli a seconda di come si vuole comporre la trama.

Non si deve quindi seguire l’andamento del libro come se si facesse una trasposizione radiofonica. Bisogna aggiustare i vari pezzi e sistemarli con i personaggi. E’ un lavoro abbastanza complesso. Si fa un collage che non è un puzzle perché il risultato è disordinato rispetto a un puzzle che alla fine risulta ordinato. Lo si fa saltando di palo in frasca nel libro, che è pieno di rimandi e flashback. Bisogna cercare di unire più scene in più punti possibile. Chiaramente c’è la dolorosa rinuncia a tante cose ma del resto un romanzo è un romanzo e un adattamento teatrale non più durare più di tanto, anche per la memoria di chi lo fa. E’ proprio un altro tipo di esigenza.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Roberta Grillo per la collaborazione
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