E’ in scena fino a domenica 20 novembre al Teatro Out Off di Milano “Il sangue matto”. Si tratta di uno spettacolo in prima nazionale tratto dal romanzo di Lucrezia Lerro con la regia di Nadia Baldi. Ne sono protagoniste Franca Abategiovanni, Angelica Cacciapaglia, Antonella Ippolito, Francesca Morgante, Rossella Pugliese e Marina Sorrenti.
“Il sangue matto”, di cui la stessa Lerro ha curato l’adattamento teatrale, è un’analisi dolorosa, ironica e profonda degli sconvolgimenti che ogni mese attendono ogni donna, dalla pubertà fino alla menopausa. “Dove sono finiti i giorni spensierati?” si chiede una delle protagoniste dello spettacolo. L’attesa delle mestruazioni amplifica le paure trasformandole in ossessioni. L’inquietudine incarna la mancanza di un lavoro stabile, dell’amore vero, di un figlio, di una famiglia.
Teatro.Online ha intervistato Lucrezia Lerro, autrice del romanzo da cui è stato tratto lo spettacolo.
“Perché è così dolorosa quest’analisi che lei fa nel romanzo?”
“Credo che sia doloroso ciò che i giornalisti e i lettori hanno avuto modo di leggere personalmente nel testo narrativo di Sangue matto. Di sicuro è un’analisi dolorosa perché riguarda dei giorni particolari di sofferenza femminile che corrispondono all’arrivo delle mestruazioni e che prende il nome di sindrome premestruale. Sono quei sette giorni che anticipano l’arrivo delle mestruazioni. In quel lasso di tempo il corpo delle donne urla amore e comprensione. Quindi il corpo femminile e le donne si trovano a far fronte ad una serie di sintomi fisici: emicrania, indolenzimento al seno, capogiri, nausea e tanti altri sintomi che in qualche modo raccontano cosa accade al corpo. Una mia personalissima lettura è che è come se le donne elaborassero ogni mese un lutto per la mancata gravidanza”.
“Quanto è importante la scrittura in uno spettacolo come Il sangue matto?”
Al di là del tema, io ho scritto un romanzo perché mi occupo di narrativa. Questo è il mio settimo romanzo edito da Mondadori nel 2015. Ho lavorato molto sulla scrittura. Mi interessava scavare nel linguaggio per comunicare il dolore del corpo femminile e la possibilità di indirizzare questo dolore. Se questo dolore viene trasformato, compreso e diventa consapevole, dà la possibilità alle donne di dar la vita. Quindi in chiave tragicomica ho scritto un romanzo fatto di più storie femminili, di diversa estrazione sociale, economica e provenienza geografica. Abiamo una psicologa, una psicanalista, una ginecologa, una donna disoccupata, una libraia e altre donne che raccontano il rapporto con il loro mondo più intimo, con le parti meno in vista. Quindi sono partita da quest’analisi”.
“Quali sono le paure e le ossessioni delle donne in quei giorni?”
“Le paure e le ossessioni sono soggettive. C’è però una nomenclatura di sintomi che più o meno sono sempre gli stessi. Questo per quanto riguarda la sindrome premestruale o anche il disturbo disforico premestruale: emicrania, capogiri, tedio, abulia e apatia. Poi dipende dal soggetto. Alcune donne hanno sintomi diversi rispetto ad altre”
“Perché questo tema è così difficile da affrontare?”
“Perché la parola mestruazione fa ancora storcere il naso. Mentre scrivevo il libro, mi accorgevo, parlandone con amici scrittori e non solo, che la parola mestruazione è ancora un tabù. La sindrome premestruale è un tabù. Si ha paura di ciò che forse in qualche modo è involontario, perché il flusso è qualcosa che arriva e che nessuno può decidere. Quindi è un forte tabù che spaventa perché racconta la storia delle donne, delle fatiche, della complessità del corpo, della mente e della psiche”.
“Alla fine, dove sono finiti i giorni spensierati di cui parla una delle protagoniste dello spettacolo?”
“Questo lo scopriranno gli spettatori. Invito tutti a vedere lo spettacolo, perché si capisce come possono sbocciare i giorni spensierati, come possono essere indirizzati e che fatica si fa per riconoscerli”.