Il 12 dicembre 1969 alle 16.37, nella Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, esplose una bomba che causò la morte di 17 persone e ne ferì 86. Si cercò di far ricadere la responsabilità sui gruppi anarchici, si indicò ingiustamente Pietro Valpreda come “il mostro” della strage, anche se gli ideatori e gli autori erano da individuare negli ambienti della politica estera e della CIA, dei neofascisti di Ordine Nuovo e della destra eversiva, e in alcuni settori “deviati” dei servizi segreti, delle forze dell’ordine, dell’esercito e degli apparati di Stato.
Il rumore del silenzio torna al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 18 dicembre. Lo spettacolo è stato scritto ed è diretto da Renato Sarti che ne è anche protagonista con Laura Curino.
Quattro domande a Renato Sarti e Laura Curino
Esattamente cinquantatre anni dopo la strage di Piazza Fontana, la verità non è ancora venuta a galla…
Renato Sarti: Non sono del tutto d’accordo, nel senso che è vero che la sentenza definitiva non stabilisce nessun colpevole, non c’è nessuno che è stato condannato per la strage, ma l’impianto accusatorio è stato confermato in pieno: sono stati i terroristi neri di Ordine Nuovo insieme ad alcuni apparati dello Stato deviati e ad alcune collaborazioni internazionali. Questo è proprio sancito ormai. Infatti sulle pietre d’inciampo che hanno messo in Piazza Fontana c’è scritto “Strage di Ordine Nuovo”. Nessuno ha potuto denunciarli perché questo è acclarato. Quindi, non sapere chi è il colpevole, rispetto a Brescia e Bologna, è gravissimo, però la verità c’è.
Renato, perché hai definito questo spettacolo un atto doveroso?
Renato Sarti: Perché siamo un Paese che ha fatto dell’oblio lo sport nazionale e della memoria storica un optional, quindi penso che anche Laura sia d”accordo con me.
Laura Curino: E’ doveroso anche nei confronti delle vittime ma il punto di vista e il taglio che come autore Renato ha voluto dare si concentra su chi hanno lasciato le vittime. E’ un gesto, una rottura del tempo, dello spazio e della ragione, però non si ricompone nell’arco di un processo e di una vita delle persone che rimangono. Quindi è doveroso anche nei loro confronti.
Renato Sarti: Con l’aria che tira è sempre meglio stare all’erta.
Perché avete voluto concentrare lo spettacolo sulla sfera personale?
Laura Curino: Proprio per questo, perché a grandi linee, ma poi vediamo che ci sono ancora dei grossi vuoti, la vicenda in sé si può raccontare molto semplicemente. Come ha detto Renato, è acclarato che la strage è stata compiuta da Ordine Nuovo, ma gli strascichi, i sentimenti, le emozioni che questa vicenda ha creato partono proprio dalle cose piccole. Sono state fatte decine e decine di interviste e sentiti testimoni. Quello che rimane più profondamente radicato, quando leggiamo queste storie, sono proprio le testimonianze di chi resta. Quindi partire da un paio di scarpe, dalla cartaccia bruciata, da una cintura, da un pacchetto di sigarette, da un regalo di Natale, perché c’erano già i pacchetti nelle case, riporta immediatamente la vicenda vicino a noi.
Che idea vi siete fatti riguardo alla morte di Giuseppe Pinelli?
Renato Sarti: E’ sempre molto delicato esprimersi pubblicamente, ma io sono convinto che lo hanno fatto fuori. La tesi di Giulio D’Ambrosio, che ha poi stabilito che è stata una forma di malore attivo, che lui era stanco e si è appoggiato al davanzale ed è caduto, secondo me è poco sostenibile e ha creato dei malcontenti che poi in qualche maniera sono stati mitigati dal fatto che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel 2009 ha riconosciuto Pinelli come diciottesima vittima, però ci ritroveremo dentro quell’episodio per nemesi storica perché rimane un vuoto di giustizia. Ormai è definitivo, la sentenza è quella.
Laura Curino: Un vuoto di giustizia e uno di procedura della giustizia, perché è vero che gli accertamenti non sono stati corretti e non ci sono stati.
Renato Sarti: Poi ricordiamo che quelli nella stanza hanno detto che si è buttato come un nuotatore dal trampolino, come una saetta, ha fatto un balzo felino e dopo ritraggono tutto. Quindi c’è qualcosa che non quadra.
- Intervista video di Andrea Simone
- Foto in evidenza di Jacopo Gussoni
- Si ringrazia Giulia Tatulli
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