Renato Sarti, “Naufraghi senza volto”

Non si pensa mai alla sofferenza di chi ha una persona cara che ha intrapreso un viaggio alla ricerca di un futuro migliore e non sa se ce l’abbia fatta, se stia bene, se lo rivedrà mai. Si chiama ambiguous loss, perdita ambigua, il sentimento che provano i parenti delle persone scomparse, un lutto che non si riesce a elaborare, perché non c’è la presenza di un corpo a confermarne la morte. Se si aggiungono vuoti normativi e inadempienze delle istituzioni, la possibilità di avere una risposta si fa ancora più remota. Al dolore si aggiunge la rabbia e il problema diventa anche sociale.

Naufraghi senza volto è una lettura teatrale di Renato Sarti e Laura Curino, una produzione del Teatro della Cooperativa, in scena al Piccolo Teatro di Milano fino al 25 giugno.

Quattro domande a Renato Sarti

Chi sono i naufraghi senza volto del vostro spettacolo?

Sono quelle persone che Cristina Cattaneo descrive bene nel suo libro Naufraghi senza volto e che non vengono mai riconosciute dopo le tragedie dei naufragi. Se accade una disgrazia come quella di Linate o delle Torri Gemelle, giustamente si fa il possibile per identificare le persone e per poter dire ai parenti che un padre, un figlio o un fratello sono tra le vittime. Nel caso dei naufragi questo non avviene e quindi le persone rimangono in eterno sconosciute.

Raccontate il punto di vista dei parenti delle vittime?

Non è un punto di vista, ma una descrizione di tutto quello che sta intorno a questa faccenda. Nel suo caso, lei è riuscita un paio di volte, soprattutto nel naufragio del 18 aprile 2015, a entrare in un barcone dove c’erano 600 cadaveri. Su tutti questi sono state fatte le autopsie, si sono raccolti gli oggetti, il DNA, le protesi dentarie e le impronte digitali per fare in modo che se arriva un parente che sa che un figlio di cui non sa più nulla è partito, possa identificarlo o no.

Vi siete ispirati a qualche tragedia del mare in particolare per questo spettacolo?

No, diciamo che quella di cui si parla di più è quella che è stata chiamata “il barcone” e che in questa triste gara di primati ha il record di morti perché c’erano più di mille persone a bordo.

Che cosa farà secondo te il governo per contrastare il problema dei migranti?

Non lo so. Questa è una domanda di carattere politico, che però molte volte cozza con un senso di pietà e di umanità che dovrebbe precedere qualunque tipo di risoluzione decretata. Siamo ancora un po’ indietro, nel senso che nel caso di Melilli è stato fatto uno sforzo incredibile in un’impresa unica tra vigili del fuoco, Marina militare, Croce Rossa e ospedali, ma quello rischia di rimanere un fatto isolato.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Giulia Tatulli
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