Renato Sarti, “Ottobre 22”

La marcia su Roma del 28 ottobre 1922 e l’assegnazione dell’incarico di formare il governo a Benito Mussolini da parte di Vittorio Emanuele III segnarono l’inizio della dittatura fascista. Ottobre 22, in scena al Teatro della Cooperativa dal 28 al 30 ottobre e dal 3 al 13 novembre, vuole fare luce sul fatto che gli organizzatori della marcia non vennero accusati di aver commesso un illecito, e desidera analizzare tramite la finzione drammaturgica il punto di vista di chi fu raggirato dal Duce.

Sul palco troviamo il regista Renato Sarti nel ruolo dell’allora presidente del Consiglio Luigi Facta e Fabio Zulli, in quello di un ragazzo ferito nei terribili scontri. La supervisione storica è di Mimmo Franzinelli. Sergio Pierattini è autore del progetto con il regista stesso. Le scenografie sono di Carlo Sala.

La parola a Renato Sarti

Perché Luigi Facta non volle mai rivelare cosa successe esattamente la notte in cui il re si rifiutò di promulgare lo stato di assedio?

Rimane un mistero. Vittorio Emanuele III ha ricevuto quella notte l’ammiraglio Di Revel e il maresciallo Diaz. A un certo punto Facta dice: “La Corona deve agire in piena libertà e non sotto il gioco del moschetto fascista.”

Gli eventi storici hanno portato Facta a fare i conti con se stesso. Che cosa è emerso dal bilancio?

Il re temeva per la stessa istituzione monarchica. Per di più, il duca d’Aosta Emanuele Filiberto che simpatizzava per i fascisti e ambiva al trono, si è spostato a Foligno, a pochi kilometri dal cuore operativo della marcia. La Regina Margherita, madre del re, benedice due quadrumviri, De Bono e De Vecchi, dicendogli: “Andate a fare la marcia, che io sono sempre stata per le cose buone e belle”. Il re era chiamato “sciaboletta” perché aveva fatto una sciabola piccolissima e in tutta la sua carriera non dimostrò mai di essere un cuor di leone. Questo è probabilmente il problema principale. Non si sa quanto Facta in quella riunione abbia facilitato la scelta del re, però era davvero una situazione molto imbarazzante e ambigua.

Quali sono i punti di vista inediti che proponete nello spettacolo?

L’ambito della storiografia è più raffinato. Il testo non è un trattato di storia, ma uno spettacolo teatrale che nasce dal grande lavoro dello storico Mimmo Franzinelli, nostro collaboratore, che ha posto alcuni punti cardine: il ruolo dei prefetti, quello di Milano e i telegrammi che mandavano al Viminale. La marcia su Roma arriva con giorni di ritardo e “come un branco di cacciatori bagnati fino alle ossa”. Il maresciallo Badoglio disse che “con due colpi di schioppo sarebbero scappati come lepri”. Il problema non era tanto Roma, se non come meta simbolica, quanto il fatto che l’Italia del nord, del centro e molte città vennero messe quasi a ferro e fuoco con assalti e devastazioni. Le redazioni dei giornali furono occupate e distrutte e i giornalisti minacciati.

La situazione era terribile ad Arezzo, Siena, Firenze, Ferrara, Mantova e Perugia. Dopo lo sventurato sciopero legalitario dei socialisti nell’estate 1922, l’intero consiglio comunale di Milano venne defenestrato e fu appesa la bandiera fascista. Ci fu un’occupazione proditoria manu militari. Il problema era il resto dell’Italia. L’esercito a Roma li avrebbe piegati in un secondo senza nemmeno farli entrare. Quando decisero di fermare i treni il 27 ottobre e di far esplodere due binari fuori Roma, la marcia si fermò. In altre città fecero danni e imposero un clima di terrore.

C’è il pericolo di un proselitismo e di una ripetizione della storia dopo un secolo?

Tra lo Statuto Albertino e la Costituzione italiana c’è una grande differenza rispetto a oggi: il ruolo del presidente Mattarella e dei suoi predecessori è quello di garante della Costituzione. Vediamo sempre che quando i più scalmanati arrivano a prendere una posizione o a occupare uno scranno importante, si calmano con le battute sul tricolore e i meridionali. Capiscono infatti che non si possono fare queste cose e qualcuno li redarguisce come si deve. Il rischio è che se entrassimo in un cambiamento costituzionale di carattere presidenzialistico, sarebbero guai. Mi auguro che le violenze perpetrate a quei tempi e quei principi appartengano al passato. L’unica cosa positiva del fascismo è che ha posto seriamente in essere le condizioni dell’antifascismo. Le lancette della storia non si devono e non si possono portare indietro.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Foto in evidenza di Laila Pozzo
  • Si ringrazia Giulia Tatulli per la collaborazione