Renato Sarti, “La molto tragica storia di Piramo e Tisbe che muoiono per amore”

Le tre scene degli artigiani che rappresentano la tragedia di Piramo e Tisbe durante le nozze dei signori nel Sogno di una notte di mezz’estate sono un appuntamento costante del teatro comico, e tanto più i maldestri interpreti della sgangherata compagnia amatoriale cercano di essere tragici e di commuovere il pubblico, quanto più esilarante è il risultato ottenuto.

La molto tragica storia di Piramo e Tisbe che muoiono per amore è in scena al Teatro della Cooperativa di Milano dal 12 al 20 marzo. Diretto da Renato Sarti, lo spettacolo vede protagonisti Federica Fabiani, Milvys Lopez Homen, Marta Marangoni, Rossana Mola, Elena Novoselova e Rufin Doh Zéyénouin.

Parla Renato Sarti

Perché questo spettacolo è un appuntamento costante del teatro comico?

Noi lo chiamiamo il nostro Arlecchino servitore dei due padroni al Teatro della Cooperativa, perché è una specie di manifesto sulla comicità che ha due o tre caratteristiche. Intanto è il ventennale del Teatro della Cooperativa, quindi abbiamo deciso di rimettere in scena gli spettacoli a cui in qualche maniera siamo legati e fra questi ce ne sono alcuni comici. Siamo affezionati perché è una compagnia multietnica, nel senso che tre attori su sei sono di origine straniera.

Poi perché, anche se nasce dalle scene dei comici e degli artigiani del Sogno di una notte di mezz’estate di Shakespeare, è una compagine quasi tutta al femminile fatta di cinque donne su sei, a ribadire un concetto importantissimo: nella comicità in Italia spesso ci si dimentica del ruolo fondamentale delle donne. C’è una tradizione enorme di comicità al femminile che in qualche maniera è stata sottovalutata. Quindi queste sono le caratteristiche per cui è un appuntamento fisso a cui noi siamo molto legati.

Come hai fatto a reinventare le scene dei comici?

Tutto nasce dalla mia prima esperienza del Sogno di una notte di mezz’estate con la regia di Gabriele Salvatores negli anni Ottanta in cui le scene dei comici erano state cambiate e attualizzate. Bottom non era il macellaio proprietario della bottega del filetto. Le scene erano state reinventate sull’onda della riscrittura. Invece di adoperare personaggi che facevano parte di un mondo di mestieri e di artigianati in via di estinzione, la compagnia dei comici sono cinque donne che lavorano in una cooperativa di pulizie, perché mi sembrava più attuale.

E’ un confronto più reale con i mestieri che ci stanno intorno. E’ anche un modo per raccontare ai giovani che quelli che arrivano da altri Paesi non devono pensare che in Italia si è costretti a fare soltanto lavori come l’operaio sui ponteggi o la badante. C’è un mondo che può esser fatto anche di studio, di cultura, di teatro e di musica. Questa è anche una specie di suggerimento.

Come hai fatto ad amalgamare un cast così variegato dal punto di vista etnico e linguistico?

Il grande merito va dato alle ragazze perché sono un gruppo straordinario. Stiamo cambiando il testo comico, perché se nasce una battuta, la buttiamo dentro. Poi ci sono altri cambiamenti che riguardano il Covid. Sulla storia della guerra in Ucraina adesso cerchiamo di stare un po’ distanti perché il peso è troppo grosso, però l’attualizzazione viene sempre fatta. Il gruppo di ragazze ha lavorato molto sull’intelaiatura che io ho costruito, però ci sono molta improvvisazione e molto lavoro libero sul palco.

Abbiamo buttato via tanto materiale buono e non buono perché il lavoro d’improvvisazione è stato enorme. Ancora adesso si improvvisa. Devo gran parte di questo lavoro alla loro capacità. Ai tempi io ho fatto la Scuola Civica Paolo Grassi, dove c’erano due o tre insegnanti di commedia dell’arte. Ho fatto un po’ di Zelig Cabaret, ho fatto le maschere e il clown, quindi ai tempi la parte del comico era molto importante nella formazione di un attore. Oggi secondo me non è più così. A fronte dell’importanza della Commedia dell’Arte, oggi purtroppo il comico in Italia è un po’ sottovalutato, anche se il popolo lo ama.

Perché mettendo in scena questo testo temevi di attirarti le critiche da parte degli addetti ai lavori?

Perché c’è la cultura di lasciare tutto intatto e di non toccare mai le parole che Shakespeare ha scritto, ma Shakespeare sarebbe il primo a cambiare i suoi testi. Beckett stesso, quando ha messo in scena i suoi spettacoli, ha tradito le famose pause che tutti volevano rispettare. Quando abbiamo fatto Coppia aperta quasi spalancata abbiamo detto a Dario Fo che avremmo attualizzato la sua commedia e lui ci ha risposto che se non lo avessimo fatto, non avremmo capito niente del suo lavoro. C’è una specie di rigore rispetto a un testo che si considera ma che non può esserlo.

Nulla è sacro in teatro secondo me, specialmente la comicità. In questo momento, con la tragedia della guerra in Ucraina, andare sul palco e fare uno spettacolo comico è molto difficile, perché sappiamo che in altre parti del mondo c’è gente che non sa come tirare avanti e che vive fra le bombe e le disgrazie. Però ci facciamo coraggio e diciamo che bisogna farlo lo stesso.

Uno dei miei maestri indiretti è stato Angelo Ceccherin. Era un comico triestino che durante il fascismo raggiunse il record di denunce, arresti, sospensione del lavoro e passò attraverso il tribunale speciale. Durante l’occupazione nazista a Trieste lui si esibiva lo stesso. Quando gli chiedevano perché lo facesse, lui rispondeva che era proprio in quei momenti che il popolo aveva più necessità di ridere. Noi siamo per la comicità ribelle, che si mette sempre contro il potere, però la comicità è importante. Abbiamo un po’ paura ad andare sul palco, però lo faremo perché sappiamo che bisogna farlo.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Foto di Maurizio Di Domenico
  • Si ringrazia Giulia Tatulli per la collaborazione
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