RENATO SARTI, “VAIRUS”

Il Covid-19 ha sconvolto le nostre esistenze, eppure questa tremenda pandemia non sembra aver sovvertito il modo in cui l’uomo si rapporta ai propri errori, visti più come qualcosa a cui porre rimedio nell’immediato e meno come un’occasione da cui trarre insegnamento. Ne è una dimostrazione il fatto che al ritirarsi della prima ondata tutto è sembrato tornare allegramente alla normalità. Vairus è uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da Renato Sarti, in scena in prima nazionale al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 31 ottobre.

Immagini del canale Youtube “Renato Sarti”

Quattro domande a Renato Sarti

Perché si sta già sbiadendo la memoria di quanto accaduto?

Perché l’uomo per sua natura e per suo difetto – non sempre e non tutti – ha la memoria storica di un 90enne con l’Alzheimer che se gli si chiede come si chiama, risponde: “Boh”. In parte è anche comprensibile perché uno cerca di rimuovere le cose tragiche, però conservare l’aspetto di quello che è successo nella tragedia ci permette forse di affrontare meglio il riaffiorare di queste esperienze.

Quanto c’è da imparare e quanto avrebbe dovuto insegnarci quest’esperienza che abbiamo vissuto?

Secondo me avrebbe dovuto insegnarci tantissimo. Invece la paura che abbiamo passato noi non è nulla oppure è un milionesimo di quello che accade quotidianamente in buona parte dell’universo. L’universo ha due milioni di persone obese e quasi un miliardo di persone che tirano la cinghia e muoiono di fame. Non impariamo niente. Questo è uno scherzo rispetto a chi vive a Kabul, ma non solo a Kabul. Basta andare in una bidonville a Jakarta, in Indonesia o a Nairobi. In tutte le parti del terzo mondo la vita quotidiana è un inferno.

E’ un po’ come quando succede un incidente aereo: c’è un italiano, con tutto il rispetto per quell’italiano – e ne posso parlare perché non è coinvolto un mio parente altrimenti non parlerei così, ma ne parlerei con fatica – ma cosa vuoi che sia un morto italiano rispetto alle centinaia e migliaia di persone che soffrono tutto quanto? L’internazionalismo si è trasformato in un guardare nel proprio orticello.

E’ il rapporto con il nostro pianeta che andrebbe rimesso in discussione?

Ormai abbiamo i mezzi per poter avere uno stato mondiale. Bisogna organizzarsi. Sarà probabilmente un processo lunghissimo, con tante interferenze e tanti ostacoli perché a tanti questo non va bene, ma ormai ci vuole un sindacato unico. Non è possibile che nel Biafra ci siano persone che prendono 44 centesimi al giorno o 40 dollari al mese e costruiscano vestiti che poi portano da noi, con quella famosa fabbrica di tessuto che si è bruciata perché tutte le porte di sicurezza erano chiuse con le catene. Sono morte oltre 1200 persone in un giorno.

Intanto andiamo nei nostri negozietti e compriamo le cose. Ci deve essere una visione più larga. I mezzi ci sono. L’uomo è per fortuna dotato di quel chilo e passa di cervello che gli permette di far cose straordinarie. Il problema è che ci siano le volontà politiche delle persone che si sveglino e protestino per questo.

Che parallelismi ci sono tra “Vairus” e “La peste” di Camus?

Tantissimi. E’ stato uno dei primi libri di Camus che ho letto. La cosa sbalorditiva è che anche lì si prende sottogamba e non si fa granché, ci si illude che non succeda e la si prende come una novità che stordisce e stupisce. Ne I quattro cavalieri dell’apocalisse la pestilenza ha compiuto più massacri della guerra. Di che cosa ci si stupisce?

E qui torna il discorso della memoria storica che dovrebbe farci chiedere se ce la faremo a mettere in moto il meccanismo per cui ci sono delle sicurezze, sempre che la sanità pubblica non sia vampirizzata da quella privata. La mascherina costa come i cerotti che abbiamo in casa, anche meno. E poi si riprende a fare festa perché è finita la pandemia ed è giusto e anche umano, però bisogna anche ricordarsi di chi ha sofferto ed è morto e predisporre qualcosa perché ciò non avvenga più.

Non bisogna pensare di fare la stessa quantità di macchine, se non di più, con le batterie. Perché comunque quei materiali lì scateneranno un’altra guerra del petrolio, perché i minerali sottili e il cobalto non sono a disposizione di tutti e non sono così illimitati. Bisogna cominciare a pensare a costruire meno macchine e fare in modo che il peso delle costruzioni umane – cioè industrie, fabbriche, città, aeroporti, macchine e plastica – si fermi, perché al momento sta superando la biomassa del creato, cioè alberi, vegetazione e animali. Bisogna fermare la società dello spreco e del consumismo: dalla carta alla plastica ai materiali. Dobbiamo stare un po’ calmini.

  • Clicca QUI per iscriverti al canale Youtube di Teatro.Online e vedere tutti i nostri video e le nostre interviste
  • Intervista di Andrea Simone
  • Foto in evidenza del sito del Teatro della Cooperativa
  • Si ringrazia Giulia Tatulli per la collaborazione