“MATILDE E IL TRAM PER SAN VITTORE”, IL DOLORE DI CHI RESTA

Debutta in prima nazionale al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano mercoledì 24 gennaio, dove rimarrà in scena fino a domenica 28, una produzione del Teatro della Cooperativa: Matilde e il tram per San Vittore, tratto dal libro Dalla fabbrica ai lager di Giuseppe Valota, è stato scritto ed è diretto da Renato Sarti. Ne sono protagoniste Maddalena Crippa, Debora Villa e Rossana Mola. A causa degli scioperi che durante la Seconda Guerra Mondiale paralizzarono gli stabilimenti a nord di Milano, centinaia di lavoratori di Sesto San Giovanni e dei comuni vicini furono vittime di retate spietate, sottratti ai propri affetti e deportati nei lager nazisti.

Matilde e il tram per San Vittore nasce dalle testimonianze raccolte in più di vent’anni da Giuseppe Valota, presidente dell’ANED di Sesto San Giovanni e Monza, figlio di un deportato morto in Germania. L’ANED stesso ha supportato la promozione dello spettacolo. Un testo che vuol mettere in evidenza il “non eroismo” di chi si oppose al nazifascismo pagando un caro prezzo.

Intervista a Renato Sarti

“Quanto ti è stata d’aiuto la figura di Giuseppe Valota per la realizzazione di questo spettacolo?”

“E’ stata fondamentale. Il primo libro è sulle testimonianze dei deportati, il secondo su quello delle donne: quindi figlie, sorelle, mogli e madri. Il libro ‘Dalla fabbrica ai lager’ è stato basilare, perché è da lì che parte tutto il lavoro che abbiamo fatto per le testimonianze presenti nel libro. Quelle che non ci sono, invece, costituiscono il lavoro straordinario fatto da lui e da altre persone in 20 anni di raccolta di dati, nomi, viaggi e partenze. Un’opera eccezionale!”.

“Quanto sono eroiche le figure di queste donne di cui si parla nello spettacolo?”

“Noi lo chiamiamo ‘non-eroismo’: si riferisce a quello che hanno fatto queste donne per supportare i loro uomini, promotori di questi scioperi decantati dallla Pravda, dal New York Times e da Radio Londra. In secondo luogo perché si sono trovate ad affrontare la vita senza i loro uomini che improvvisamente sparivano nella nulla. Era una realtà di guerra fatta di fame, miseria, anziani da accudire. Inoltre c’era una mortalità infantile altissima. A questo si aggiungevano il freddo, il pericolo dei bombardamenti e le case non riscaldate. Quindi sulle loro spalle è ricaduta una realtà già drammatica di per sé”.

“Vogliamo dare qualche triste dato riguardo ai deportati di quelle fabbriche?”

“Gli scioperi del marzo 1944 sono stati i più tremendi, perché hanno provocato la reazione più spietata da parte dei nazisti, anche se bisogna sottolineare che gli autori di questi arresti erano soprattutto le milizie fasciste, con la Legione Mutti in testa. Di notte arrestavano le persone con la tattica dell”Achtung, Nebel!”: si recavano cioè nelle case e portavano via gli uomini a notte inoltrata o al mattino presto facendoli svanire nel nulla. Poi alle donne non comunicavano niente. Il 12 e il 13 marzo 1944 furono le date più terribili di tutta questa vicenda”.

“Perché dopo l’esperienza della guerra la vita di quelle donne non fu più quella di prima?”

“Per certe donne l’uomo fortunatamente tornò, in altri casi non fu così. In altri ancora passavano anni: magari arrivava la notizia della sua morte, ma se la persona non veniva riconosciuta, passavano decenni perché il cadavere rimaneva in una terra di nessuno. La vita cambiò anche per quelle mogli il cui marito tornò. Una donna raccontava per esempio che suo marito non aveva mai parlato del lager, però lei lo sentiva singhiozzare di notte in silenzio con la bambina. Era evidente che questo piangere solo sommesso e silenzioso si riferiva a quell’esperienza che non ha più dato pace al sonno di moltissime persone.”