Insieme ad Assassinio sull’Orient Express e Poirot sul Nilo, Dieci piccoli indiani… e non ne rimase nessuno è considerato il capolavoro letterario di Agatha Christie. Finalmente arriva al Teatro Carcano di Milano fino al 4 marzo la versione teatrale tradotta da Edoardo Erba e diretta dal regista spagnolo Ricard Reguant. La storia è nota: siamo in Europa, nel 1939, alla viglia della Seconda Guerra Mondiale. Dieci sconosciuti vengono invitati a vario titolo su un’isola deserta dalla natura meravigliosa e incontaminata, ma ad attenderli trovano qualcosa di inquietante: una poesia intitolata Dieci piccoli indiani affissa agli specchi delle proprie camere. Una filastrocca che racconta le morti in successione di tutti gli invitati. Dopo una serie di omicidi misteriosi, il terrore comincia a impadronirsi degli ospiti dell’isola, che arrivano a ad accusarsi a vicenda degli omicidi in un crescendo di suspense e colpi di scena che li porterà allo scioccante e tragico epilogo.
Sul palcoscenico troviamo un gruppo di attori affermati e talentuosi: Giulia Morgani, Tommaso Minniti, Caterina Misasi, Pietro Bontempo, Leonardo Sbragia, Mattia Sbragia, Ivana Monti, Luciano Virgilio, Alarico Salaroli e Carlo Simoni.
La parola a Mattia Sbragia
“E’ un testo che mostra il lato più nascosto della borghesia e del genere umano?”
“E’ il testo che per antonomasia lo fa. E’ il romanzo precursore delle attuali tendenze sociologiche e alla fine degli anni ’30 creò molto scalpore. Si tratta di uno dei gialli più letti in assoluto nella storia della letteratura moderna: Agatha Christie ne ha venduto 110 milioni di copie. Nella sua analisi della società l’autrice andò a incaponirsi contro varie fasce sociali, escludendo però in modo molto prudente quella economico-bancaria di cui lei faceva parte”.
“I personaggi subiscono un’evoluzione caratteriale nel corso dello spettacolo?”
“Nel nostro sì. Siamo molto orgogliosi di essere riusciti a trattare l’argomento in modo quasi cinematografico. Partiamo presentando personaggi molto ben inseriti socialmente che pian piano perdono la propria sicurezza, fino a quando subentra il terrore di rimetterci la vita, oltre che qualunque valenza sociale”.
“Quanto è fedele quest’adattamento teatrale al testo originale di Agatha Christie?”
“Qui bisogna fare un distinguo: l’autrice lo scrisse prima come romanzo giallo e solo successivamente come opera teatrale. Un’opera teatrale che però tradiva già in partenza il testo del romanzo. Nell’originale, come dice il sottotitolo, sull’isola non rimane nessuno dei dieci indiani. Nelle versioni cinematografiche, invece, il finale era meno tragico, probabilmente perché l’Europa era appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, c’era un intero continente da ricostruire e non si voleva gettare troppa negatività su un pubblico già provato dal conflitto. Nel cinema il finale prevedeva che il capitano e la segretaria andassero via dall’isola insieme, quindi era tutto molto più edulcorato. Il nostro adattamento, cui hanno assistito anche gli eredi di Agatha Christie, ha avuto una lunga gestazione. Noi abbiamo chiesto di far finire lo spettacolo teatrale con la morte di tutti i personaggi, proprio come prevedeva il romanzo. Quindi, durante trattative lunghe otto mesi, a Londra ci hanno messo a disposizione alcuni autori che hanno riscritto il finale, rendendolo di nuovo identico a quello del libro”.
“Lo spettacolo ha un impatto visivo e scenico molto forte?”
“Parlando di morti e di omicidi che avvengono in alcuni casi anche in modo abbastanza plateale, in scena sono presenti molti effetti speciali. E’ stato messo in piedi un allestimento molto ricco, quindi anche i costumi sono quelli indossati da esponenti dell’alta società degli anni ’30 e ’40. Lo stesso discorso si può fare per la sfarzosità della casa, estremamente sontuosa e appariscente”.