Un cantautore può definirsi un poeta? Sì, se si chiama Piero Ciampi. Era un artista incompreso, figlio della Livorno degli anni Sessanta e Settanta. I suoi detrattori lo consideravano solo un alcolizzato dal carattere irascibile, i suoi estimatori, come i suoi più cari amici, lo definivano “il migliore di tutti noi”.
Arianna Scommegna omaggia la figura di Piero Ciampi, con uno spettacolo a lui dedicato in scena al Teatro Gerolamo dal 10 al 13 giugno. L’idea nasce da un progetto della stessa Arianna Scommegna e di Massimo Luconi. L’arrangiamento e la drammaturgia musicale sono affidate a Giulia Bertasi, presente anche in scena alla fisarmonica.
Quattro domande ad Arianna Scommegna
Chi era veramente Piero Ciampi?
Credo che non lo sapremo mai. Quello che so io è che ha lasciato qualcosa di molto bello: testi poetici che per noi sono un dono. Ciò che noi abbiamo desiderato fare è stato accogliere il dono che ci ha lasciato, cioè le sue canzoni e le sue poesie. E’ sicuramente una persona con tanti contrasti dentro di sé, capace di infinite dolcezze ma anche di momenti di autolesionismo e durezza. Dunque una persona dal carattere molto contrastante all’interno del proprio animo. E’ questo che cerchiamo di far venir fuori: le sue parole. Abbiamo scelto di utilizzare solo le sue parole proprio per non aggiungere altro, perché pensiamo che solo attraverso l’ascolto dei suoi pensieri personali e delle sue canzoni possa emergere quello che permetterà ad ognuno di scoprire il suo Piero Ciampi.
Di che cosa era fatto il suo universo?
Di piccole e grandi cose come quelle domestiche: di una casa, del bisogno di avere un’abitazione e una famiglia accanto a sé, e allo stesso tempo di qualcuno che lo amasse veramente. Contemporaneamente, però, era un universo fatto anche di grandi uragani, capaci di scombinare tutto e di portarlo lontano, per poi un giorno ritornare. Sono cose piccolissime, semplici, legate al tavolino di una cucina. Poi c’è il mare, che fa parte del suo universo come scenografia presente in ogni sua rima e poesia.
Ti interessava di più mettere in risalto la figura dell’uomo o dell’artista?
Quello che mi interessava di più era mettere in risalto la sua poesia. Non abbiamo voluto fare la narrazione di quello che era Piero Ciampi, bensì dare voce alla sua poesia. Come se la sua opera fosse la figlia di Piero Ciampi. Quindi si riconosce l’albero dal frutto: abbiamo voluto dare spazio e un luogo a questo frutto, perché la scenografia è un luogo dell’anima di questo frutto da cui si riconosce l’albero.
Ci sono state molte figure famose nella sua vita che avrebbero potuto dare una svolta alla sua carriera: Gino Paoli, Nada, Ornella Vanoni. Perché questa svolta non si concretizzò mai?
(ride) Probabilmente perché lui era capace di scombinare tutto l’aiuto che gli veniva dato! Aveva molte persone che lo amavano moltissimo, però forse lui faceva fatica a gestire una simile quantità d’amore. Quindi non riusciva a godere di tutto questo amore. Nella sua vita non ce l’ha fatta a trasformare la bellezza che era capace di tirar fuori con il proprio talento. Evidentemente è stato schiacciato da questo suo grande buco nero e dal dolore. Non è così scontato lasciarsi amare, è una cosa molto difficile.
- Foto di Serena Serrani
- Si ringrazia Maurizia Leonelli per la collaborazione