All’inizio del secolo scorso nasce la Borsa valori come la conosciamo oggi. Il denaro diventa sempre meno reale e il suo valore sempre più manipolabile. Le democrazie occidentali iniziano a creare il debito. Il sogno di un mondo costruito sull’abbondanza e sulla prosperità sembra definitivamente fallito. Pochissimi uomini smisuratamente ricchi controllando l’industria e la finanza e iniziano a usare il proprio potere per manipolare la politica, nel bene e nel male.
Tycoons, scritto e diretto da Michele Segreto, è in scena fino al 24 ottobre al Teatro Fontana di Milano. Ne sono protagonisti Roberto Marinelli, Michele Mariniello, Massimiliano Mastroeni, David Meden, Marco Rizzo e Marta Zito.
Intervista a Michele Segreto
Quali sono i movimenti e le ideologie che muovono questa quantità di denaro così grande?
Tantissimi. Principalmente il profitto. Quello che ci interessava raccontare in questo spettacolo è la nascita del mercato azionario come lo conosciamo oggi e di una serie di movimenti che comportano e determinano le politiche economiche ancora ai nostri giorni. Inoltre ci importava la nascita di un’idea per cui chiunque sia abbastanza scaltro ha la possibilità di arricchirsi speculando in Borsa.
Ci sembrava molto coerente con tutto quello che sta succedendo adesso, con quello che stiamo vedendo, con la crisi dei mutui di qualche anno fa, ma anche semplicemente con le possibilità di applicazioni che ci promettono di investire stando comodamente sul nostro divano, usando il nostro telefono, diventando ricchi tramite i bitcoin o simili. Ci interessava indagare sull’epoca in cui queste cose hanno cominciato a diventare parte delle vite comuni. Non arriviamo al crack di Wall Street del 1929 perché ci fermiamo al 1907, che però in proporzione fu quasi equivalente, ma almeno non si uscì dall’America. Fu un crollo enorme causato da due persone.
Quali furono i tycoons esistiti realmente più significativi della storia?
Noi abbiamo scelto di analizzarne tre, che erano noti come i re del petrolio, dell’acciaio e delle banche: Andrew Carnegie e le sue acciaierie, John Rockfeller e i suoi pozzi di petrolio e J.P. Morgan. Sono i nostri tre tycoons che all’inizio del secolo scorso, grazie al loro potere economico spropositato, riescono a condizionare pesantemente l’esito delle elezioni in America e le politiche economiche di quel Paese.
C’è una strizzata d’occhio a “Lehman Trilogy”?
No, però è stato uno spettacolo importante per me per capire che certe tematiche economiche che mi interessano personalmente potevano avere un senso a teatro. Senza quello spettacolo, forse avrei tenuto quel progetto nel cassetto.
Quanto viene raccontato del sogno americano?
Tanto, perché è la base di tutto quel che si è mosso a partire dalla crisi dei mutui subprime. L’aspetto interessante di quel Paese – e l’America è la tematica che affronto spesso – è che, partendo da zero, avevano la possibilità di regalare a un Paese dei sogni, che però non sono riusciti a realizzare.
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- Intervista video di Andrea Simone
- Foto in evidenza di Julian Soardi
- Si ringrazia Martina Parenti per la collaborazione