Una città nel sud degli Stati Uniti d’America: una giovane contorsionista si esibisce ogni sera nel suo piccolo appartamento in un numero quasi impossibile: entrare in una minuscola scatola di cristallo. E’ suo zio, nonché l’impresario di questo improbabile circo domestico a procurare il pubblico. Tra gli spettatori, una sera si presenta un uomo, disilluso dalla vita…
Sogno americano #2 Tennessee nasce da un progetto del suo regista Francesco Leschiera, da Manuel Renga ed Ettore Distasio, che ne è anche protagonista con Mauro Negri e Greta Asia Di Vara. In scena il 24 e 25 ottobe al Teatro Linguaggicreativi di Milano, lo spettacolo vede la drammaturgia firmata da Zeno Piovesan.
Intervista a Francesco Leschiera
Siamo di fronte a una rappresentazione della tipica condizione esistenziale del cosiddetto sogno americano?
Direi di sì, nel senso che questo progetto nasce per rappresentare il sogno americano e questa volta lo facciamo con Tennessee Williams. Prendiamo ispirazione da lui attraverso Zeno Piovesan sotto la mia indicazione, quella di Manuel Renga ed Ettore Distasio. Traiamo spunto dal suo mondo, dalla sua poetica e dalla sua vita. Rappresenta la condizione del sogno americano, ma anche un estratto di vita che vogliamo raccontare. In qualche modo ci può addirittura coinvolgere direttamente.
Quanto avete mantenuto delle atmosfere di Tennessee Williams in questo spettacolo?
Crediamo tutto, perché Zeno per appropriarsi di quelle atmosfere ha letto dei libri e si è ispirato a dei testi come Un tram che si chiama desiderio e Lo zoo di vetro. Quindi c’è tutta una serie di riferimenti che riguardano anche la vita di Tennessee Williams. Direi che nello spettacolo c’è dentro proprio tanto di lui.
Che cosa costituiscono i tre personaggi, cioè il Presentatore, la Contorsionista e l’Innamorato?
Sono un po’ una metafora, come anche l’utilizzo del circo. Quando ho letto il testo per la prima volta, mi è venuto in mente anche un po’ il nostro mondo, basato pure sulle illusioni. Quindi è una metafora della vita, dove c’è una contorsionista che poi in realtà non lo è, un innamorato che si innamora di questa persona e uno zio che fa l’impresario. Si va nel profondo di una situazione esistenziale attraverso la grande metafora del circo.
Senza svelare troppo, la fantasia e l’immaginazione fortemente presenti possono far sperare in una catarsi finale?
Sì e no. Perché il percorso del testo fa arrivare a un determinato punto. Però non voglio svelare troppo e lascio il finale alla libera interpretazione degli spettatori.
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringrazia Simona Calamita per il supporto professionale