CHIARA STOPPA, “GRATE”

Maria Chiara è una suora di clausura del convento delle clarisse di Milano. Ad un certo punto del suo percorso esistenziale ha compreso quale fosse la sua vocazione: isolarsi dal mondo per stargli più vicino. Decide così di raccontarcelo, anche per smontare i pregiudizi che abbiamo tutti nei confronti di chi ha fatto una scelta così radicale.

Grate è uno spettacolo di Gianni Biondillo con la regia di Francesco Frongia in scena alla sala Bausch del Teatro Elfo Puccini fino al 5 dicembre. Ne è protagonista Chiara Stoppa con la partecipazione di Roberta Faiolo.

La parola a Chiara Stoppa

La tua protagonista si isola dal mondo per stargli più vicino. Sembra una contraddizione. Com’è possibile che questo avvenga?

Innanzitutto, in un pezzo fondamentale dello spettacolo lei racconta che per capire il mondo, cerca di viverlo sempre di più: inizia così a occuparsi di volontariato, della Caritas, della mensa dei poveri, insegna italiano ai migranti e poi parla dell’Africa, il mondo perfetto dove essere se stessi. Ma io sapevo chi ero? Riempivo le mie giornate per dedicarle agli altri, per dare senso alla mia esistenza. Forse era il mio modo di fuggire. Fuggire facendo. Quando Maria Chiara lo dice, penso che ci rappresenti tutti, nel tentativo di colmare le nostre giornate per sfuggire realmente alle cose più importanti come chiedersi chi siamo davvero e cosa facciamo. In qualche maniera, la nostra protagonista cerca una risposta in convento, ma non è assolutamente una fuga, bensì un raccogliersi.

Cosa significa raccontare la vocazione di Maria Chiara?

Io non racconto la vocazione di Maria Chiara, racconto Milano. In realtà non è uno spettacolo sulla vita di clausura o sul monastero, ma sulla nostra città. E’ una dedica d’amore a lei. Il nostro è un escamotage drammaturgico ben riuscito di Gianni Biondillo, in cui una città, così apparentemente frenetica e piena di contraddizioni, viene raccontata attraverso gli occhi di tre suore di clausura, che secondo l’opinione di tutti, dovrebbero essere le persone che conoscono di meno la città, che però supera le mura, invade le grade ed entra dentro il convento. Noi parliamo di clausura perché ci scherziamo sopra, narriamo alcune cose, ma quello che raccontano le suore è Milano.

Ci sono anche altre due figure importanti in questo spettacolo. Chi sono?

Sono in tutto tre suore di clausura: Maria Chiara, una sorella di circa 40 anni, che ha un contatto diretto con il pubblico: ci scherza, ci parla, in alcuni momenti in maniera quasi cabarettistica. Racconta in modo più dettagliato la vita delle suore fino a parlare della Milano di oggi e di quella del Covid. C’è poi Maria Ilde, una suora di 60 anni, che invece ci parla della Milano degli anni Settanta, della strage di Piazza Fontana, fino ad arrivare agli anni Ottanta con la Milano della droga. Infine Chiara Daniela, una suora di 95 anni, che ci racconta della città durante la guerra.

In particolare parlerà del bombardamento del 20 ottobre 1944 a Gorla, in cui venne fatta esplodere una scuola elementare in cui morirono 184 bambini. Casualmente, se vogliamo credere al destino, il convento delle suore di clausura di Milano è a pochi passi dal luogo in cui sorgeva questa scuola. Si dice che questo convento sia nato lì proprio per portare preghiera perpetua alle anime di questi piccoli martiri.

Sullo sfondo dello spettacolo ci sono la storia di una città e di un Paese, giusto?

Sì. La mia è stata una scelta d’amore. Avevo voglia di fare una dedica alla città di Milano. Io non sono milanese, ma d’origine friulana. Vivo però in questa città da 22 anni e la amo. Sono un’appassionata di gialli di Gianni Biondillo e chi più di lui ha come unica protagonista di tutti i suoi romanzi la città di Milano? Ci siamo incrociati, perché leggendo un suo libro, ho scoperto che ero andata sotto casa sua a rappresentare Il ritratto della salute, il monologo che ho scritto con Mattia Fabris. Gli ho chiesto se aveva voglia di scrivere un testo per me e improvvisarsi drammaturgo. Lui ha accettato la sfida e ha iniziato a scrivere.

Nel frattempo è arrivata la pandemia e questo ha stravolto un po’ la visione a tutti. L’idea era nata per raccontare una città, che viene sempre un po’ denigrata e inquadrata dal punto di vista della moda e dell’aperitivo mondano. In realtà Milano è una città con una tradizione d’accoglienza e di benessere enorme. Il nostro primo pensiero era addirittura legato al racconto della storia degli ultimi. La pandemia ha fatto incontrare le suore del monastero di Gorla a Gianni Biondillo, che è rimasto estasiato dall’incontro e ha pensato che tutti noi abbiamo vissuto in un enorme monastero di clausura per tutto il lockdown, quindi ha voluto trasportare quest’immagine in uno spettacolo.

  • Intervista di Andrea Simone
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