Il territorio a nord di Milano fino al confine con la Svizzera è stato teatro fin dal 1500 dei processi della Santa Inquisizione e di episodi di caccia alle streghe. E’ proprio in questo contesto che si sviluppa la storia di Rusina, cresciuta in un ambiente intriso di sapienza naturale. Cosima, una sua amica d’infanzia viene violentata brutalmente e le donne decidono di vendicarsi utilizzando proprio l’innocenza di Rusina per attirare il colpevole. Ma Rusina viene accusata di stregoneria dall’Inquisizione e immolata sul rogo. Stria è un monologo scritto, diretto e interpretato da Claudia Donadoni in scena al Teatro Menotti di Milano il 27 e il 28 aprile. Le musiche sono eseguite dal vivo da Giovanni Bataloni.
La parola a Claudia Donadoni
“Quant’è importante che il testo sia accompagnato dalla musica dal vivo?”
Tanto, perché è una delle particolarità di “Stria”, che ha la struttura di un monologo. Il fatto di avere con me sul palco Giovanni Bataloni, il compositore che ha lavorato alla drammaturgia musicale, è fondamentale perché la musica è come la scenografia, che ci consente di entrare ancora di più in profondità nel clima di tutto lo spettacolo.
“E’ una storia fatta di numerosi flashback?”
Sì, è costruita esattamente con una serie di flashback. Infatti lo spettacolo parte dalla fine, da pochi minuti prima che lei venga messa al rogo. Quindi è un inizio molto forte e intenso. Da lì si sviluppa via via tutta la vicenda.
“Ha fatto un lavoro molto approfondito sulla lingua, giusto?”
E’ stata una delle sfide più grandi, perché la protagonista è una contadina del 1500. Quindi sarebbe stato un falso storico farla parlare in italiano o in un volgare simile all’italiano. In più nella letteratura abbiamo autori come Dario Fo, Carlo Emilio Gadda, Giovanni Testori, Alessandro Manzoni che fanno parlare in dialetto i loro personaggi, come Renzo ne “I Promessi Sposi“. Il dialetto ha una forza, una carnalità e un sapore di terra che erano necessari in questo spettacolo. Questa è la prima elaborazione. La storia vera racconta di una ragazzina vissuta nella zona insubre, cioè in quella regione che va dalle porte di Milano fino alla Svizzera, e il lavoro che io ho fatto sulla lingua è una sorta di koiné: un mix di sonorità dialettali che appartengono a tutta quella zona. Poi all’interno dello spettacolo c’è un momento in cui la storia si ferma, la narrazione non è più in prima persona ma in terza, e questo mi ha consentito di fare una parte di racconto in italiano. Per ultima c’è la parte dell’inquisitore, che non parla in latino come teoricamente avveniva in quei tempi, ma in un italiano che ha una parte di costruzione latina con richiami al volgare e alcune parole che sono una commistione tra latino e italiano. Quindi è una ricerca su tre fronti.
“Quali sono state le sue fonti per scrivere questo spettacolo?”
Diverse. La prima in assoluto è stato un testo incredibile, uno dei pochi sfuggiti ai roghi dell’Inquisizione. E’ di proprietà dell’università dell’Insubria e racconta proprio la storia dei processi che in quegli anni si tennero nella zona intorno a Varese. Questa è stata la fonte che mi ha risvegliato il desiderio e mi ha fatto sorgere l’urgenza di scrivere lo spettacolo, perché quando si racconta una storia la cosa importante è sentire il bisogno di poterla tramandare. Poi ho raccolto tutti gli atti dei processi che vennero fatti in quella zona. Sono andata a fare una grande ricerca nelle università e nei tribunali per raccogliere le suggestioni che producessero il core intorno al quale elaborare il testo. Infine c’è un retaggio che risale a tanti anni fa: “La chimera” di Sebastiano Vassalli, che rappresenta bene tutta l’atmosfera. E’ un libro che ho letto quando non ero ancora pronta per scrivere una storia come questa e per decidere di raccontarla in teatro. Però mi rimase dentro e quando mi parlarono di questo testo di proprietà dell’università dell’Insubria, io lo lessi e sentii che la storia mi si cuciva addosso. Da lì è partito tutto, anche se poi all’interno dello spettacolo la storia ha avuto uno sviluppo narrativo diverso e fantastico, quindi prende ispirazione da un personaggio realmente esistito traslato in seguito dalle regole drammaturgiche del teatro.
(intervista e riprese video di Andrea Simone)