Antonio Syxty, “L’uomo dal fiore in bocca”

E’ un personaggio dal destino segnato il protagonista dello spettacolo L’uomo dal fiore in bocca. Si tratta di una condizione personale, fatale e inaspettata, che lo spinge a riflettere sul mistero della vita tentando di penetrarne l’essenza e il mistero. Poi c’è il secondo personaggio: un avventore destinato ad ascoltare… Perché nessuno è eterno su questa terra…

L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello è in scena al Teatro Litta di Milano dal 17 al 27 febbraio con la regia di Antonio Syxty. Ne sono protagonisti Francesco Paolo Cosenza e Nicholas De Alcubierre.

Parla il regista Antonio Syxty

Perché il destino del protagonista è segnato?

Lo è un po’ come lo sono tutti i nostri destini. E’ solo che noi non abbiamo una percezione del disegno del fato, per quanto riguarda chi ci crede. Nel caso de L’uomo dal fiore in bocca, il destino è stato preannunciato al protagonista da un’escrescenza carnosa sul labbro chiamata “epitelioma”. Lui lo definisce anche tubero violaceo, ma è ovvio che si tratta di un tumore. Metaforicamente e simbolicamente è qualcosa di imprevisto che gli preannuncia una morte imminente, pur non sapendo se avverrà tra un mese, sei mesi o un anno. E lui racconta.

E’ il mistero della vita uno dei protagonisti principali dello spettacolo?

In un certo qual modo sì, ma lo è anche la percezione che noi non possiamo governare la vita, anche se ci affanniamo tutti a farlo per quanto ci è possibile; altrimenti non vivremmo. E’ per questo che vogliamo dominarla al meglio. Poi però accadono degli imprevisti e ne abbiamo sperimentato uno a livello planetario: la pandemia. Anche non essendo scienziati né immunologi, chi mai avrebbe immaginato dieci anni fa che ci saremmo trovati tutti rinchiusi in casa perché un virus respiratorio ci avrebbe impedito di continuare a vivere come facevamo prima?

Perché secondo te in molti dei suoi testi Pirandello sentiva così forte il tema dell’effimero?

Perché in tanti scritti afferma che per lui la vita è una “buffoneria” in cui noi ricopriamo un ruolo. C’è chi ne è consapevole e chi non lo è. Essendone Pirandello al corrente, ha una grande pietà per chi non lo è. Quindi c’è in lui un forte pessimismo, perché ha la consapevolezza che ogni azione è alla fine una recita nel presupposto dell’arco della nostra vita.

Pirandello ha ambientato il testo in una stazione ferroviaria: è solo uno sfondo o ha anch’essa un ruolo importante?

La stazione è il luogo oggettivo e simbolico delle partenze e degli arrivi, quindi è uno spazio un po’ transitorio come la vita. Io non ho ambientato realisticamente la pièce in una stazione, bensì in una galleria d’arte, in un’installazione artistica, che però è dichiaratamente all’interno di un teatro, su un palcoscenico. L’ho fatto perché c’è il rapporto tra immaginazione e rappresentazione della realtà attraverso l’arte e la vita. La stazione è però di per sé un’ambiente che ha a che fare letterariamente con il simbolo delle partenze e degli arrivi. Infatti, proprio nel caffè della stazione che durante la notte non chiude, si rifugia un avventore che ha perso il treno… E’ una grande riflessione sul mistero dell’esistenza e su quello che ci può accadere nel corso di una vita.

  • Intervista video di Andrea Simone
  • Si ringrazia Alessandra Paoli per la collaborazione
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