“IL TERREMOTO IN CILE”: L’AMORE E IL DRAMMA

A prima vista Il terremoto in Cile, racconto di Kleist del 1806, sembra il soggetto di un melodramma romantico. L’amore tra due giovani contrastato dalle famiglie, un malinteso delle identità, uno scambio di bambini ma soprattutto il carattere straordinario degli avvenimenti e il loro esito straziante sembrano usciti da un libretto d’opera ottocentesco. Ma nelle pieghe della trama emerge via via una visione dell’uomo e del mondo completamente estranea all’orizzonte ideologico di quel tempo, e per molte ragioni, vicino al nostro.

Il terremoto in Cile di Heirich Von Kleist è in scena al Teatro Out Off di Milano dall’11 al 14 ottobre. L’ideazione e la regia sono di Michele Suozzo, la traduzione e l’adattamento teatrale di Patrizia Zappa Mulas, anche voce narrante in scena. Le musiche originali e la canzoni sono composte ed eseguite dal vivo da Fabio Lorenzi, Areta Gambero ed Emanuela Bertolini.

Intervista a Patrizia Zappa Mulas

“Perché Kleist ha scelto proprio il terremoto a Santiago del 1647?”

“Immagino che l’abbia fatto perché di tutti i terremoti storici è quello che si è svolto alla fine della Guerra dei Trent’anni in Europa, cioè la guerra per la ricattolicizzazione dell’Europa, una guerra per cui l’integralismo religioso e storico ha fatto stragi. Lui era interessato a quest’aspetto. Siamo in Cile, non in Europa, ma il Cile è una colonia spagnola e quindi anche il Cile e Santiago erano pervasi da un clima di integralismo religioso che spiega anche le atrocità che vengono raccontate, come il fatto che una monaca messa dal padre in convento per impedire la sua relazione con un giovane precettore, quando si scopre che è incinta viene condannata a morte. E’ una sentenza terribile e inconcepibile per noi, ma allora era praticata questa severità della legge conventuale.”

“Perché Il terremoto in Cile è un racconto che ci riguarda intensamente?”

“Perché è un racconto che riferisce di una situazione sociale in cui c’è un’atmosfera apocalittica, da fine del mondo, di angoscia diffusa, pervasa da una grande aspirazione alla rigenerazione. Questo terremoto, che produce dolore e morte come tutti i terremoti, porta anche un momento in cui tutte le strutture sociali e le divisioni finiscono perché è crollato tutto, e per un momento lo spirito umano riesce a sbocciare come uno splendido fiore. C’è un’aspirazione alla rigenerazione molto attuale. Anche oggi viviamo un po’ in un clima apocalittico pervaso da un’aspirazione alla rigenerazione.”

“Quali sono le contraddizioni che si agitano all’interno del testo?”

“Una linea molto labile di demarcazione tra ciò che è reale e ciò che è sogno. Il testo è pieno di sbagli, casualità e trasognamenti. La realtà sembra un sogno. Il protagonista Geronimo a un certo punto si dimentica tutto e poi piano piano ricorda tutto. Nonostante sia un racconto del 1806 scritto in pieno Romanticismo, c’è una visione dell’uomo molto contemporanea dove l’inconscio freudiano è già presente. L’altro aspetto è il clima apocalittico di una società che non vede il proprio futuro e che vive nel terrore, nel panico e che produce violenze e orrori.”

“Siamo di fronte a un sogno che diventa incubo?”

“Sì, perché il sogno di questa rivoluzione si trasforma in un linciaggio dove gli innocenti vengono massacrati sul sagrato di una chiesa. L’incubo è lo scatenamento della violenza irrazionale della folla che lincia quattro innocenti.”