“THE SENSE OF LIFE FOR A SINGLE MAN”: UNA VITA IMPOSSIBILE

Nei primi anni 60 un professore inglese dell’università di Los Angeles viene colpito da una grave quanto inaspettata notizia: il suo compagno è morto in un incidente stradale. Distrutto dal lutto e incapace di reagire per la fine improvvisa di una lunga relazione, passa le proprie giornate mettendo a posto oggetti e carte. In preda a una sindrome ossessiva tenta di fare ordine nei propri sentimenti, fino al tentativo di un gesto estremo. L’amica Charley, delusa e disillusa, tenta di salvarlo dalla malinconia e dal tedium vitae che lo opprime.

The sense of life for a single man è in scena al Teatro Litta di Milano fino al 14 aprile. Liberamente ispirato da Un uomo solo di Cristopher Isherwood e diretto da Pasquale Marrazzo, vede protagonisti Alessandro Quattro, Alessandro Mor, Rossana Gay e Giovanni Consoli.

La parola a Pasquale Marrazzo

“Qual è il processo di elaborazione del lutto che vive George?”

Cerca di aggrapparsi alla vita e soprattutto alla sua amica Charley, che rappresenta la vita di George. Non il futuro, ma la vita immediata. Il futuro si presenta invece grazie a un giovane ragazzo, cioè Kenny, che dà a George l’opportunità di pensare che la vita può ancora riservargli qualcosa. Gli dà la speranza che le cose possano cambiare. 

“E’ la tragedia di una vita diventata banale a rendere la sua esistenza sempre più nauseante?”

George viveva una storia d’amore con un uomo con il quale divideva la propria esistenza. Con lui era felice, stava bene, insieme si compensavano, avevano due caratteri speculari. Chiaramente la morte di un compagno con cui aveva una relazione da 16 anni lo fa ritrovare da solo e lo spinge a fare i conti con una vita che fino a qualche giorno prima non era nemmeno contemplabile. 

“Quanto siete stati fedeli al testo di Christopher Isherwood?”

Credo di esserlo stato nelle intenzioni più che nel testo, perché un romanzo di narrativa non può essere utilizzato più di tanto. Però ho recuperato tutto quello che potevo recuperare. Penso di essere stato fedele ai personaggi. Ritengo di aver mantenuto una certa coerenza psicologica e caratteriale. Ho cercato di studiare quello che Isherwood ha scritto rispettandolo il più possibile.