Andrea Trapani, “Io e Baudelaire”

Io e Baudelaire, primo passo di una trilogia dedicata ai poeti maledetti, è un richiamo, un’invocazione alla poesia, la direzione di un ritorno. È un dialogo con se stessi, è la ricerca delle parole, è stare sulle parole e accettare che siano importanti.

Immagini del canale Youtube “Andrea Trapani”

Lo spettacolo è in scena fino al 23 ottobre al Teatro Fontana di Milano e vede protagonista Andrea Trapani diretto da Francesca Macrì che con lo stesso attore ha anche firmato la drammaturgia.

Intervista ad Andrea Trapani

Perché questo è un dialogo con se stessi?

Lo sono tutti i nostri spettacoli, a maggior ragione la forma monologo che chiaramente ci obbliga ad andare a fondo della relazione con i vari io che siamo abituati ad attraversare, perché abbiamo sempre molteplici identità con le quali ci relazioniamo. Anche lo stesso Baudelaire aveva la stessa propensione nelle poesie a raccontare un’umanità vasta e lo faceva attraverso le varie tipologie di maschere. E’ un dialogo con se stessi per chi da bambino voleva rapportarsi con la poesia ed è un modo di tirare un po’ le fila dell’esistenza. C’è una relazione con la poesia che ha attraversato tutta la nostra vita e quindi c’è sempre un legame necessario tra infanzia ed età adulta, che è quella che stiamo vivendo adesso.

Qui c’è anche tanto della tua vita vissuta. Che cosa racconti?

Tutto quello che in qualche modo mi ha stimolato nella relazione con Baudelaire. Come dice il titolo Io e Baudelaire, questo spettacolo vuole essere l’apertura di un dialogo con testi ritradotti da noi. Rispettando ovviamente l’autore, abbiamo cercato nella traduzione di avvicinarli il più possibile alla nostra scrittura che per certi aspetti si avvicinava a quella di Baudelaire. Abbiamo poi inserito dei pezzi nostri che sono pagine autobiografiche: ho trovato inevitabile per esempio parlare della prima volta che ho recitato: il mio debutto sul palco non è avvenuto in un contesto teatrale ma nella recita della scuola elementare in cui la maestra mi affidò il ruolo di Gesù Bambino intimandomi di stare fermo immobile. Recito questa parte suonando sotto il chiaro di luna o sopra, a seconda dei punti di vista.

L’altro aspetto autobiografico si trova all’inizio, quando rievoco il ricordo di me giovane spettatore che andai a vedere un concerto di pianoforte dove suonava il grande maestro Pollini che fu vittima di un attacco di panico e ritardò di 55 minuti l’entrata in scena. Quest’episodio mi ha colpito così tanto che nel fare questo spettacolo ho recuperato la mia paura di performer che deve relazionarsi con lo strumento con il ricordo di quel musicista che ebbe la mia stessa paura.

Anche la musica ha un ruolo importante, vero?

Questo spettacolo non è assolutamente un recital. La poesia è attraversata con tutto il corpo ma non è detta nel modo in cui siamo abituati a sentirla nei recital. Io non sono un pianista ma ho una confidenza con lo strumento e suonare è come se fosse un gesto del mio corpo. Gesto artistico, corporeo e sonoro si fondono.

Perché questa fascinazione per i poeti maledetti?

La regista Francesca Macrì ed io ci siamo trovati molto in sintonia nel pensare che i poeti maledetti sono una pagina della nostra storia che si pensa di conoscere ma che invece è ancora abbastanza sconosciuta. Noi abbiamo accostato Baudelaire a Pasolini, perché ha avuto la percezione del nostro disfacimento del mondo contemporaneo illuminato. Ho voluto relazionarlo con la rabbia e la maleducazione che forse adesso dovremmo ritrovare nel gesto artistico. Di questi tempi siamo molto più vicini a quelli vissuti da loro rispetto ad altre pagine della storia. Li sentiamo vivi, precursori della nostra epoca, bisognosi di essere resuscitati e strappati da un immaginario liceale e ristretto. Erano persone molto vive che nella loro esistenza si mettevano veramente in gioco con tutto il corpo. Questo mi avvicina a molti testi performativi del nostro mondo contemporaneo, quindi abbiamo questo dialogo di sintonia.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Martina Parenti per la collaborazione
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