Il Teatro Atir Ringhiera di Milano mette in scena fino a domenica 20 novembre “Trentadue secondi e sedici”, uno spettacolo diretto da Serena Sinigaglia la cui drammaturgia è stata curata da Michele Santeramo. Ne sono protagonisti Tindaro Granata, Valentina Picello e Chiara Stoppa.
Nel 2008 alle Olimpiadi di Pechino, Samia Yusuf Omar viene ripresa dalle telecamere di tutto il mondo accanto ai mostri sacri dell’atletica. Corre per i 200 metri. Il risultato è scontato: è ultima, quasi dieci secondi di distacco dalla prima. Dieci secondi nei 200 metri sono un tempo infinito, il tempo di Samia è trentadue secondi e sedici centesimi.

Teatro.Online ha intervistato Chiara Stoppa, una delle protagoniste dello spettacolo.
“Come mai vi siete tanto appassionate alle vicende di quest’atleta?”
“Io non conoscevo la storia. Ce l’ha proposta Serena Sinigaglia. Serena l’ha conosciuta perché inizialmente doveva girare un programma su Sky dedicato a quest’atleta. Dopo, i tempi sono stati stretti ed è successa tutta una serie di cose per cui questo programma non è andato in porto. Serena però si era affezionata alla storia di Samia. Quindi ce l’ha proposto dicendoci che voleva raccontarla, ma che non sapeva come fare. Allora abbiamo cercato l’autore, abbiamo incontrato Michele Santeramo e gli abbiamo proposto questo lavoro. Anche Michele si è appassionato e da qui è iniziata tutta una serie di lavorazioni e di incroci artistici.
“Poi cos’è successo?”
“Lo spettacolo in realtà è diventato altro, perché quello che io racconto di solito è che noi partiamo dall’idea e dal desiderio di raccontare la storia di Samia, ma poi lo spettacolo diventa simbolico e allegorico sulla figura dell’Occidente rispetto a Samia. Per cui sembra strano, perché la gente viene a teatro per vedere la storia di Samia”.
“Però voi la raccontate….”
“Sì, è vero, noi la raccontiamo, è come se lo spettacolo fosse spaccato in due. C’è una prima parte molto narrativa in cui noi raccontiamo la storia di Samia, ma poi improvvisamente lo spettacolo prende un’altra piega. Come un naufragio, un’onda che sbatte giù tutti e diventa tutt’altro. Trovo che questa sia una cosa molto bella, di grande impatto. Non è sempre facile capire la seconda parte dello spettacolo, perché è molto simbolica. Ci sono due fratelli su un’isola deserta che credono di essere gli unici rimasti al mondo. E fanno quello che vogliono, perché tanto sono gli unici rimasti al mondo. Non è sempre facile vederci in quei due fratelli perché alla fine siamo tutti noi”.
“Quale fu per lei il dramma alle Olimpiadi di Pechino?”
“Il dramma di Samia è stato quello di voler competere contro l’Occidente. Probabilmente era completamente inconsapevole della cosa. Ricordiamoci che Samia quando ha partecipato a Pechino 2008 aveva 17 anni. Quando guardi le immagini di quella gara è pazzesco, perché vedi una ragazzina magrissima. Noi ci siamo informati e abbiamo scoperto che pesava 40-45 kg. Gareggiava contro delle atlete della velocità, per cui parliamo di America e Giamaica, Paesi con atlete piene di muscoli. Era l’Occidente contro il resto del mondo. Samia non poteva vincere, si vedeva dalla prima immagine che non avrebbe avuto alcun riscatto. Ha partecipato, è arrivata ultimissima, talmente ultima che tutto lo Stadio Olimpico si è alzato in piedi ad applaudirla”.
“Nel 2012 per lei c’è stato uno sviluppo della storia molto triste. Cos’è successo?”
“Nel 2012 lei decide di fare il viaggio nel tentativo di arrivare in Europa, probabilmente proprio in Gran Bretagna dove sua sorella vive tuttora. Lì non è mai arrivata. Un pescatore dice di aver ricuperato il suo corpo e qualcuno afferma di averla riconosciuta in una foto da morta. Ancora oggi non sappiamo se quel corpo fosse di Samia o di qualche altro disperato che ha tentato di fare il viaggio”.
“Lei era l’esempio perfetto del desiderio di vivere una vita migliore?”
“No, era l’esempio perfetto di una che vuole scappare da una condizione disperata. Credo semplicemente che la Somalia degli Anni Novanta sia stato l’inferno. Quindi ha semplicemente cercato di fuggire da morte certa, andando però verso la morte”.