ROBERTO TRIFIRÒ, “CONFESSIONI DI UN RODITORE”

E’ in scena in prima nazionale Confessioni di un roditore, tratto da La tana di Franz Kafka. Proprio come La metamorfosi, anche La tana appartiene alle storie di animali, una tipologia utilizzata spesso da Kafka. Narra dei continui, disperati sforzi intrapresi da un protagonista – per metà architetto e per metà roditore – di costruirsi un’abitazione perfetta, così da potersi proteggere efficacemente dai suoi nemici invisibili. Lo spettacolo, in cartellone al Teatro Out Off fino al 19 dicembre, vede protagonista Roberto Trifirò, che ne ha anche firmato la regia.

Immagini del canale Youtube: “Teatro Out Off”

Intervista a Roberto Trifirò

Quanto può apparire surreale un personaggio che è un misto tra un roditore e un architetto?

E’ molto meno surreale di quanto si possa pensare, anche solo stando ai riscontri degli ultimi due giorni dati da persone che sono venute e che facevano commenti molto realistici. C’è una scissione in questo personaggio senza nome: c’è il corpo di un animale non identificato che può essere un roditore, un tasso o un criceto e una mente ossessiva e paranoica di un essere umano. Anche nella messinscena c’è una divisione, c’è una voce che rappresenta un pensiero ossessivo molto forte, che giunge amplificato, e un corpo che si muove in uno spazio creato con cunicoli simili a piccole tane attraverso i quali lui gira.

Le sue ossessioni sono assolutamente umane. Infatti lui dice che la cosa più bella della sua tana è il silenzio. Altre situazioni sono possibilità in cui ci sentiamo vicini a lui in alcune ossessioni. C’è molta più realtà di quanto possa apparire. Verso la fine c’è il timore di un nemico invisibile che possa penetrare nella sua casa, nella sua tana, e addirittura ucciderlo, perché l’ultima frase del testo parla dell’attesa del nemico mortale che all’inizio è solo invisibile.

Qual è il nemico di cui il personaggio ha paura?

Il nostro. Ce lo possiamo creare a seconda delle nostre ossessioni.

Nelle note al testo lei dà molta importanza all’aggettivo “kafkiano”. Che significato ha secondo lei?

Bisogna chiedersi quanto c’è di poco reale, di fantastico e di reale. Secondo me, c’è molta più realtà nelle situazione kafkiane. Questo è diventato un termine su cui si può riflettere, perché sono situazioni in cui ci troviamo e che sono metaforicamente trasfigurate, però sono proprio nostre. La fantasia crea delle proprie realtà, che diventano più forti della stessa realtà esistente. E’ un fatto molto interessante, soprattutto in questo testo.

La parola “kafkiano”, in questo senso diventa anche sinonimo di realtà dentro alla quale arriva a sconfinare la fantasia. Questo può quindi creare angosce, ossessioni e nel caso di Confessioni di un roditore anche paranoia, perché lui sente un sibilo continuo, fino ad arrivare all’ansia e al terrore di un nemico che sta per entrare nella sua casa, ma se lo inventa lui o sta entrando veramente? E chi è questo nemico? In questo caso può anche essere la morte o un’ossessione che entra nella mente. Era interessante il raggio di possibilità che ognuno di noi può vedere in una situazione simile ed è molto soggettivo: non c’è una verità sola.

Perché il protagonista dello spettacolo è una figura sdoppiata?

Perché è una mente scissa dal corpo. Quindi ci sono uno sdoppiamento e un’identità divisi. Non è un uomo a tutto tondo ma è una mente che pensa e un corpo che va da tutt’altra parte. Questa è la creazione del personaggio, come se fosse un carattere pirandelliano. E’ come se i protagonisti volessero che la propria storia prendesse vita e quindi vanno dallo scrittore che li riceve dalle otto all’una. Siamo di fronte al frutto dell’invenzione di un autore che nasce, ma non è realistica perché esiste. E’ come se facesse parte della fantascienza, però c’è anche la realtà, perché alcuni film di fantascienza diventano molto reali: 2001 Odissea nello spazio, Blade Runner e L’invasione degli ultracorpi.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Si ringrazia Ippolita Aprile per la collaborazione
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