Roberto Trifirò, “Regredior”

Quando si dice che Giovanni Testori scriveva con il sangue, non ci si serve di una frase fatta. Il grido o il canto sembrano uscirgli contro la sua stessa volontà e quando cadono sul bianco della pagina, risuonano, hanno il peso di un sasso. Così non si commette alcun abuso dicendo che scrivere per Testori vuol dire lacerarsi, far sanguinare la propria carne. La vita è un magma, un pezzo di carne sanguinante, un lungo sacrificio sull’altare della morte.

Regredior è un romanzo di Giovanni Testori rimasto inedito fino al 1992, che viene portato sul palcoscenico del Teatro Out Off di Milano fino al 2 aprile da Roberto Trifirò, che ha anche firmato la drammaturgia e la regia.

Intervista a Roberto Trifirò

Come si conciliano la vita e l’amore in quest’opera di Testori?

Sono insieme. C’è una simbiosi di vita, amore, dolore, passione. E’ una scrittura di flusso, è un flusso in cui convergono il dolore, la gioia e tanto dolore, anche se il testo è trasposto in un linguaggio tragicomico. E’ come se in un piccolo microcosmo ci fosse un tutto: amore, dolore, gioia, riso, pianto, amore e collera per il padre e la madre.

Testori definisce la sua idea di teatro servendosi di un quadro di Francis Bacon. Quale quadro è e cosa significa per lui?

Nel quadro è come se ci fosse una lacerazione della carne. Bisogna dare tutto nelle passioni e nello scrivere. Possiamo trasportarlo nella vita. E’ come se ci fosse un’estremità per tutto, anche nel cercare di vivere le cose in un modo completo e definitivo. Bacon era un pittore che lacerava le forme e tra di loro c’era questo senso di affinità. Era il pittore preferito di Testori, a parte i lombardi.

Che cosa significa “dare alla carne la parola”?

In questo caso immergersi completamente nel testo che uno deve fare. Una volta che abbiamo reso in modo organico dentro di noi il testo e abbiamo assimilato nella nostra singolarità quello che l’autore voleva dire, essere e presentare, magari anche inconsapevolmente, da lì lo facciamo diventare carne, testo, voce. E’ una possessione, veniamo posseduti dal testo, però ci vuole tempo. Ormai è tutto rapido, tutto veloce, gli spettacoli stanno poco in cartellone e le prove sono poche. Però per fare le cose ci vuole tempo.

Che cosa ti ha affascinato di questo testo che Giovanni Testori ha praticamente finito di scrivere sul letto di morte?

La passione e la possessione della scrittura, perché lui era posseduto dalla scrittura. Anche sul letto di morte era l’unica cosa che riusciva a confortarlo in un momento così drammatico.

  • Intervista di Andrea Simone
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  • Si ringrazia Martina Bruno