Una maratona teatrale tra i grandi autori del Novecento americano. Forzando le consuetudini e le dinamiche teatrali e per lasciare un segno di un lavoro che è stato una tappa fondamentale del nostro immaginare e fare teatro, il Teatro Menotti di Milano invita il pubblico a ripercorrere il percorso che Arturo Cirillo, Milvia Marigliano e tutti gli attori impegnati nella trilogia hanno compiuto attorno alla controversa drammaturgia del Novecento americano. Serate uniche per una vera e propria maratona tra i personaggi, le atmosfere e le visioni di Tennessee Williams, Edward Albee ed Eugene O’ Neill.
Trilogia americans è in scena dal 24 novembre al 2 dicembre. Comprende Lo zoo di vetro di Tennessee Williams, Chi ha paura di Virginia Woolf di Edward Albee e Lunga giornata verso la notte di Eugene O’Neill. La regia è di Arturo Cirillo e i protagonisti sono Milvia Marigliano, Monica Piseddu, lo stesso Arturo Cirillo, Valentina Picello, Rosario Lisma e Davide Enea Casarin.
Quattro domande ad Arturo Cirillo
“Che cosa accomuna questi tre testi?”
“Certamente il fatto di essere tre testi di autori americani del Novecento. Sono anche accomunati rispetto a noi dal fatto di vedere in scena sia me che Milvia Marigliano. Li abbiamo rappresentati tutti e tre al Teatro Menotti che li ha prodotti negli ultimi cinque anni. Poi li abbiamo portati in tournée in passato e lo faremo ancora quest’anno, soprattutto l’ultimo, “Lunga giornata verso la notte”. Sono anche tre testi che vanno a comporre un libro edito da Ku Press per le cure di Andrea Porcheddu e che uscirà proprio in concomitanza con la trilogia che si chiama “Dall’altra parte dell’America”, la mia trilogia americana.”
“Quali sono le caratteristiche dei personaggi?”
“La drammaturgia americana del Novecento è fortemente concentrata sul lavoro dell’attore. Lo dimostrano l’America del Novecento con Lee Strasberg, che ha fondato l’Actor Studio, e la storia del cinema americano degli anni Cinquanta. Infatti tutti e tre i testi hanno avuto edizioni televisive più o meno famose. Sono sempre stati considerati dei grandi cavalli di battaglia per attori mattatori. Noi cerchiamo di farli forse in maniera un po’ meno mattatoriale e un po’ più contenuta, attraverso una recitazione che per quanto mi riguarda credo che sia un po’ meno strettamente nella linea della totale immedesimazione, ma in un gioco un po’ più metateatrale. Ritengo infatti che questi testi abbiano un po’ bisogno di essere riportati verso una contemporaneità e una sensibilità nostra di teatranti di oggi.”
“Dove sta la forza di questi tre autori?”
“Sono tre autori molto differenti. Se dovessi trovargli una grossa forza, direi che non è quasi per nulla nel loro spaccato sociale. Credo che oggi non interessi più molto la crisi americana degli anni Quaranta o un discorso sulle università americane degli anni Sessanta. Credo che la forza stia nella capacità di scrivere degli ottimi dialoghi e di andare molto a fondo, soprattutto nelle dinamiche di coppia, principalmente in quelle di una famiglia.
Sono tre famiglie molto differenti: in “Zoo di vetro” c’è una mamma abbandonata dal marito che cura due figli; in “Chi ha paura di Virginia Woolf” c’è una famiglia composta da una coppia piuttosto nevrotica che non può avere figli e si inventa un figlio immaginario; in “Lunga giornata verso la notte” c’è infine una famiglia più classica formata da padre, madre e due figli, tutti e quattro molto legati al teatro con vari problemi di salute: la madre che si fa di morfina, il figlio più piccolo che è tisico e quasi tutti quanti alcolizzati.”
“E’ sempre la famiglia la protagonista di questi tre testi?”
“Certo. Io non so perché rispetto a questo la drammaturgia americana della prima parte del Novecento sia stata così concentrata su un nucleo familiare. Personalmente questo aspetto mi è sempre interessato. La prima regia che ho fatto vent’anni fa al Crt di Milano è stata “La notte è madre del giorno” di Lars Norèn, un autore svedese che con quest’opera ha fatto una riscrittura di “Lunga giornata verso la notte”. La tematica della famiglia mi interessa molto, anche perché credo che in generale le grosse questioni sociali di formazioni degli individui abitino moltissimo dentro la famiglia.”
(intervista e riprese video di Andrea Simone)