Il Pacta Salone di Milano propone dal 12 al 14 gennaio Boccaperta del drammaturgo Tommaso Urselli. Si tratta di una produzione sul tema dell’identità legata al periodo della preadolescenza. Ne è protagonista Dario Villa e la regia dello spettacolo è di Paola Manfredi. Un ragazzo, con la vocazione alla rappresentazione e al trasformismo, gioca a mettere in scena la propria famiglia, i personaggi e alcuni episodi fondanti e a volte tipici di una certa preadolescenza di provincia. Li racconta, in una chiave ingenua e surreale, al principale confidente e punto di riferimento, nonché supereroe preferito: il proprio amico immaginario.
Parla Tommaso Urselli
“E’ giusto definire questo spettacolo un monologo di formazione?”
“E’ una sorta di sottotitolo interno che mi sono dato durante la scrittura. Lo spettacolo mi è stato commissionato dal Teatro Periferico, dalla regista Paola Manfredi e dall’attore Dario Villa. Durante l’ideazione, pensavamo insieme di seguire il percorso evolutivo di un ragazzo che nel momento in cui gioca a rappresentare la propria famiglia si sta ancora formando. Si trova cioè in quell’età critica della preadolescenza in cui non sai ancora bene chi sei.
Durante la successiva fase di scrittura, ho tenuto sempre presente questo binario. Non c’è una storia, non è un testo teatrale con un inizio, uno svolgimento e un epilogo, ma è una sorta di narrazione che il ragazzo fa attraverso la rappresentazione delle persone che compongono la propria famiglia. Così dà vita a una sorta di quadro familiare da cui emerge l’esigenza di rappresentare. Questa vocazione alla rappresentazione è il motore del lavoro.”.
“Quant’è importante il ruolo dell’amico immaginario?”
“Durante la scrittura, l’amico immaginario era sempre presente e mi chiedevo come sarebbe stato possibile tradurre scenicamente questo aspetto. Non avevo pensato alla soluzione che la regista Paola Manfredi ha adottato e che a me è sembrata veramente efficace, cioè la presenza scenica materiale dell’amico immaginario: è un pupazzo che nel finale, in qualche modo, scompare. Il gioco di rappresentazione che il personaggio del ragazzino e quindi l’attore fa, non lo fa al pubblico, ma a questo amico immaginario che funge da specchio e da diaframma tra il personaggio narrante e lo spettatore”.
“C’è un tema ricorrente di fondo di una certa solitudine?”
“Sì, la solitudine è sempre presente. Anche se in realtà c’è un affollamento di personaggi nella mente del ragazzo. La solitudine che è più palpabile e meno ‘detta’ nel testo è quella di sé a se stesso. E’ come se a questo ragazzo mancasse la visione di sé, che riesce ad afferrare soltanto con la sparizione dell’amico immaginario e in qualche modo si materializza in un desiderio: questo ragazzo porta durante tutto il monologo un paio di pantaloncini corti, ma ha il grande desiderio di poter indossare un giorno un paio di jeans che vede addosso agli amici della sua stessa età. Come dire: ci sono se ho i pantaloni lunghi e non ci sono se non li ho”.
“Il protagonista compie un processo di rappresentazione di sé e del mondo che lo circonda?”
“Tutto lo spettacolo è una rappresentazione del mondo che lo circonda per giungere a vedere se stesso. Quando la propria immagine riflessa nell’amico immaginario svanisce, è il momento in cui il personaggio non è più solo nella sua stanzetta dei racconti: è come se venissero abbattuti i muri di quella stanzetta solitaria in cui si rifugiava, e si trova finalmente di fronte al mondo. E’ un lavoro sulle possibilità della rappresentazione come arma per danzare, lottare e giocare con il mondo”.