“IO, MIA MOGLIE E IL MIRACOLO”: SPARIZIONI E RITORNI IN VITA

E’ un testo originale e surreale quello portato in scena dalla compagnia Punta Corsara. Scritto e diretto dal giovane Gianni Vastarella, Io, mia moglie e il miracolo ci racconta il caso assurdo e inquietante di una bambina scomparsa, ma che in realtà si trova a scuola, prigioniera di una sperimentazione didattica che si protrae all’infinito. Inoltre gira voce che qualcuno compia il miracolo di riportare in vita le persone. Le discussioni impulsive prendono quindi il posto della razionalità, in uno spazio che impedisce il contatto tra i personaggi e ne favorisce la divisione.

In scena dal 22 al 25 febbraio al Teatro Fontana di Milano, lo spettacolo vede protagonisti lo stesso Gianni Vastarella, Giuseppina Cervizzi, Christian Giroso, Valeria Pollice, Gabriele Guerra ed Emanuela Valenti.

Intervista a Gianni Vastarella

“Quanto surrealismo c’è in questo spettacolo?”

“Gli elementi del testo, così come la storia, sono molto surreali. La vicenda, però, ha molto ha che vedere con la realtà, anzi, la rispecchia, anche se in un primo momento può sembrare che sia un mondo lontano da noi. A dire il vero, invece, fa parte di noi e della società in cui viviamo”.

“E’ una vicenda che potrebbe svolgersi in qualunque città del mondo?”

“Diversamente dai nostri spettacoli precedenti, tutti ambientati a Napoli, la vicenda si svolge in un “non luogo”. Potrebbe essere qualsiasi posto dell’universo. Contrariamente agli altri nostri lavori, è l’unico in italiano. Non per una presa di posizione, ma perché dal punto di vista artistico c’era bisogno di una recitazione asettica. L’obiettivo è quello di non creare confini al tema che trattiamo, ma di renderlo più universale e di presentarlo a un pubblico più vasto?”

“Nello spettacolo viene raffigurata una società che prendete in giro, naturalmente in modo bonario?”

“Sì, la prendiamo in giro, ma solo fino a un certo punto. Sia il testo sia la messa in scena analizzano vari aspetti, schemi e ruoli che la società ci attribuisce o che noi stessi attribuiamo. Per esempio i personaggi non hanno un nome, ma sono archetipi. Quindi il marito si chiama “marito”, la moglie “moglie” e lo stesso vale anche per gli altri personaggi”.

“Sono molto presenti gli omaggi al cinema americano, è così?”

“Assolutamente sì. Io sono un appassionato cinefilo, e in questo testo, nella sua messa in scena e nella colonna sonora ci sono diversi riferimenti al cinema americano: da David Lynch a Quentin Tarantino fino alla comicità dei fratelli Cohen. Mi sono però anche ispirato al cinema europeo nordico e a registi come Aki Kaurismaki e Lars Von Trier“.