“VALORE D’USO”, QUANDO LA DISABILITA’ ARRIVA A TEATRO

 

La stagione on the road di Atir Teatro Ringhiera comincia il 5 ottobre con Valore d’uso, uno spettacolo diretto da Antonio Viganò, con Matteo Ambrosini, Edoardo Busnati, Cristina Ciminaghi, Luana De Lucia, Massimiliano Pensa e Chiara Tacconi, in scena al Teatro LaCucina – OLINDA fino all’8 ottobre.

Al di fuori dei canoni

Spiega il regista: “Essere sempre accompagnati, compresi, guardati, scusati, valutati, esposti… è insopportabile. Questo è il destino, obbligato e crudele, dei corpi non conformi, deformati, non convenzionali, eretici. E questa condizione, in teatro, trova la sua esposizione in forma esagerata, spettacolare, circense, voyeuristica. A volte, quella condizione sociale, sul palco viene consacrata, esaltata, altre volte diffamata, oltraggiata, esposta come semplice patologia”.

 

Quattro domande al regista Antonio Viganò

“Qual è il valore aggiunto che porta a teatro un attore disabile?”

Sono le ombre di cui sono portatori, una presenza scenica misteriosa e il fatto di essere sempre tutti interi. Forse questo è il valore aggiunto. Per il resto, il confronto è normale. L’attore infatti deve essere all’altezza di quello che sta facendo sul palcoscenico, senza alcuna scusante o giustificazione. O fa bene il suo lavoro o lo fa male, sia che ci sia un handicap o meno.

“Che cosa possono insegnare al pubblico questi attori?”

Possono insegnare soprattutto un eventuale cambiamento dei punti di vista e la visione di determinate condizioni sotto un’altra luce. Possono soprattutto insegnare che quella condizione sociale, che è un’etichetta che li segna, non deve escluderli dalla capacità di produrre arte.

“E’ giusto dire che qui la disabilità viene invece trasformata in un punto di forza?”

Deve assolutamente essere così. Noi dobbiamo fare una trasfigurazione teatrale di questa disabilità, altrimenti non facciamo altro che confermare qualcosa che è già evidente. Per cui l’idea di fare una trasposizione significa fare in modo che quella condizione sparisca sulla scena, perché viene avanti la loro capacità di essere comunicazione e racconto.

“Perché gli attori sono continuamente alla ricerca di una conferma da parte del pubblico?”

Perché è la loro logica. Perché per esistere hanno bisogno di uno spettatore e questa relazione fa sì che a volte lo si faccia bene e altre volte male, ma che si vada a cercare questo tipo di consenso. Questo spettacolo nasce da un percorso lungo di formazione e di “professionalizzazione” alle arti e ai mestieri della scena, che l’Atir Ringhiera “sociale” ha iniziato da tanto tempo. Io arrivo a concludere un percorso. Lo spettacolo merita di essere visto, perché c’è proprio una forma di riscatto culturale e sociale. Ci sono persone che si sono “professionalizzate”, per cui abbiamo uomini, donne e situazioni di handicap che gli attori presentano in forma professionale. Questo è già un ribaltamento della condizione del paradigma che lavorare con persone differenti sia solo un motivo per intrattenerli e per socializzarli. No, non è così: possono anche andare oltre ed essere attori professionali.