WALTER LEONARDI, “A-MEN”

A-MEN è un racconto sempre in bilico fra ironia, dramma e poesia. Una contaminazione di linguaggi in un mix perfetto fra teatro d’immagine (cuscini giganti trasparenti, ruote di bicicletta danzanti e burattini che fanno innamorare) e monologhi. Un racconto tanto visionario quanto realistico e attuale.

Un momento dello spettacolo (immagini del canale Youtube “Operazione Artisti”)

Scritto a quattro mani da Carlo Giuseppe Gabardini e Walter Leonardi, A-MEN. Gli uomini, le religioni e altre crisi è in scena al Teatro Fontana di Milano dal 10 al 21 novembre. Sul palco, come unico protagonista, troviamo proprio Walter Leonardi, attore del Terzo Segreto di Satira, che ha anche firmato la regia.

La parola a Walter Leonardi

Quali sono le crisi di cui parla questo spettacolo?

(ride) Sono crisi generiche molto forti. Credo che precedano il panico e siano estremamente intense, diffuse tra noi occidentali e fortissimamente sviluppate in una società, la nostra, che vuole assomigliare a qualcosa che non è. Più quello che noi tendiamo a essere è distante da noi, più la nostra crisi e il nostro panico aumentano, fino a che non diventa qualcosa di più vicino e raggiungibile. A quel punto torniamo a mantenere la calma. Se invece il nostro obiettivo si allontana, è più difficile recuperare la tranquillità e la presenza a se stessi. Questo ci causa quindi uno stato di terrore fuori controllo perché non sappiamo più chi siamo esattamente. E’ un aspetto molto preoccupante e doloroso.

E le nuove religioni che ruolo hanno?

Sono una scappatoia per cercare di uscire dal panico. Fondamentalmente il protagonista – Walter Leonardi, cioè io – non viene preso dalla paura incontrollata, ma è in preda a una forte depressione che lo induce a stare sul divano per molto tempo. Quindi si dà una scossa e decide che il centro di tutti i suoi problemi consiste nel non aver mai creduto in nessun Dio e in nessuna religione. Comincia così dalle religioni classiche per fare un excursus che passa per la religione del calcio, del tifo e per quella new age, fino ad arrivare a compiere un sacrificio uccidendo il padre un’altra volta mentre gli urla contro tutta la propria rabbia. Alla fine, però, la soluzione non è nelle religioni. Lo dice anche lui esplicitamente.

Come si destreggiano gli uomini in tutto questo?

Gli uomini non riescono a destreggiarsi, arrancano da sempre, secondo me. Se gli va bene, possono criticare il potere e quando sono abbastanza liberi da farlo, trovano sempre qualcosa da ridire proprio su quel potere che permette loro di dire le cose. L’uomo non si accontenta mai. Trova sempre un élite superiore alla sua alla quale dare la colpa di tutte le sue sfortune, frustrazioni, insoddisfazioni e di tutti i suoi fallimenti

Perché nel titolo c’è un trattino che separa la lettera A dalle altre tre lettere MEN? E’ un gioco di parole?

Sì, perché sotto ci sono gli uomini. A me sarebbe piaciuto molto di più se avessi potuto scrivere “A-MAN”, “l’uomo” . Purtroppo, però, al plurale, la parola “uomo” in inglese si scrive con la “E”. E’ una specie di crasi tra “un uomini” e una delle parole che rappresenta di più la liturgia nella religione cattolica, cioè “amen”.

In questo spettacolo è molto importante il teatro d’immagine. Che cosa s’intende esattamente con quest’espressione?

Ha a che fare con le immagini che si vengono a creare sul palcoscenico e che nascono dalla scuola francese del Nouveau Cirque, molto poco frequentata in Italia. Ne fanno parte autori che prestano molta attenzione a quest’aspetto, a partire dai mimi storici come Jacques Tati. E’ un filone che nasce da loro e dai clown, che dal circo si sono trasferiti in teatro, portando un po’ di quella magia e di quell’incanto che nel mondo circense la fanno da padrone. Faccio un esempio: il fiore che spruzza l’acqua tipico dei pagliacci è un piccolo trucco, un colpo di scena teatrale. A me piace indagare quest’aspetto e inventarmi con macchine molto semplici e rudimentali piccolissimi effetti scenici che mi aiutano a mantenere viva l’attenzione e a ricercare un minimo di poesia nel mio lavoro.

L’urlo al padre di cui parlavo prima avviene, per esempio, sotto una pioggia nell’unico momento in cui il protagonista esce di casa e va al bar in bicicletta. Quando scopre che gliel’hanno rubata, dice: “Manca solo che piova!”. A quel punto cade uno scroscio di pioggia realizzato con un getto di riso che cade dall’alto grazie a una corda che io tiro e che rovescia una pentola. Ovviamente è anche una citazione rubata a Frankestein Junior. Poi ci sono altri piccoli effetti, come un drappo che a un certo punto dello spettacolo io tengo in mano e che diventa la mia ipotetica innamorata. E’ una cosa vista un milione di volte, però fa parte di un genere che a me piace molto.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Foto in evidenza di MAPEL
  • Si ringrazia Martina Parenti per la collaborazione