La regina dei banditi è tratto dalla storia vera di Phoolan Devi, detta appunto “la Regina dei banditi”, una figura leggendaria e controversa dell’India contemporanea. La sua vicenda esemplare di donna guerriera, costretta suo malgrado alle armi, offre lo spunto per affrontare il tema della violenza subita e del riscatto; e qui soprattutto, trattandosi di una donna, risaltano l’aspetto della violenza sessuale e l’azione di Phoolan come voce di coraggio femminile là dove l’oppressione ha ridotto l’uomo al silenzio.
Lo spettacolo è in scena al Teatro Linguaggicreativi di Milano dal 12 al 14 novembre nell’ambito della rassegna Stagione Ostinata. Scritta da Federico Bertozzi e diretto da Giorgio Zorcù, la pièce vede protagonista Sara Donzelli.
Intervista a Giorgio Zorcù
Qual è la forza di Phoolan Devi?
Nel paradosso della sua vita: ha scritto un romanzo autobiografico, Le mie cento vite, con l’aiuto di due giornalisti e scrittori in cui racconta appunto i paradossi delle sue tante esistenze: quella di bambina violentata, di sposa bambina ribelle alle leggi del piccolo villaggio in cui viveva. Poi fu l’amante di un capo bandito delle gang che infestavano l’area dell’India. Quando lui viene ucciso, a sua volta diventa a 16 anni il capo di un gruppo di banditi. In seguito passiamo a raccontare tutta l’altra parte della sua vita: la latitanza, il patteggiamento di pena e il carcere, fino alla popolarità che le arriva grazie all’elezione in Parlamento. Forse è questo il suo punto di forza. E’ una figura molto popolare perché era una sorta di Robin Hood. Una popolarità che parte dalla violenza sulle donne per arrivare alla difesa degli umili e delle caste basse.
Sono molto grato al Teatro Linguaggicreativi, che mi ha permesso di portare in scena questo spettacolo nel ventennale della morte di Phoolan Devi: venne infatti uccisa il 25 luglio 2001 davanti al Parlamento indiano da mandanti ancora oggi ignoti.
Perché la prima sensazione che si ha vedendo questo spettacolo è quella della distanza?
Perché sembra di parlare del Medioevo e di fatti lontani dalla storia. Nel momento della sua cattura, infatti, lo spettatore ha un primo sussulto perché scopre che avviene nel 1983 e si chiede come sia possibile. Poi è una sensazione data anche dagli elementi mitici ed epici della storia: la giungla, gli stenti, le scorribande. Sembra quindi un’epopea di altri tempi. In realtà avviene ai giorni nostri. Phoolan Devi nasce nel 1963, quindi parliamo dell’età contemporanea.
In che modo riesce ad azzerarsi questa distanza?
Andando a esaminare i meccanismi della sopraffazione da parte del mondo maschile su quello femminile o dei potenti sui poveri cristi, scopriamo che questi atteggiamenti riguardano quello che viviamo tutti i giorni anche noi. Apparentemente sembra tutto paradossale, ma non è così.
Lo scoppio della pandemia e i conseguenti lockdown hanno visto crescere in maniera esponenziale nel mondo i casi di violenza contro le donne. Per voi registi e attori è più facile sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto alle istituzioni e ai mass media, che magari a volte tendono un po’ a presentare questo tema parlando il “burocratese” o il “giornalistese”?
E’ un argomento molto spinoso e difficile per tutti noi. Non siamo mai immuni da questi fatti. Si parla di “violenza contro le donne”, ma in realtà la frase corretta sarebbe “violenza degli uomini contro le donne”. Da uomo mi sento di assumermi la responsabilità di questi episodi fino in fondo. Per rispondere alla tua domanda, apparentemente per noi artisti potrebbe sembrare più facile, ma solo apparentemente. In realtà è un tema che comporta una risoluzione lunga e difficile. Quando decidemmo di fare questo spettacolo, evitammo apposta di andare in India prima di metterlo in scena. Una volta realizzato, invece, scegliemmo di partire e vedere coi nostri occhi il Paese in cui aveva vissuto Phoolan Devi. Guardando i volti di quegli uomini e i loro comportamenti, mi sono accorto che – estremizzati – erano anche i nostri. Mi è quindi sembrata una nuova frontiera dell’umanità e di civiltà ancora fortissima da conquistare.
- Intervista di Andrea Simone
- Foto di Margherita Busacca
- Si ringrazia Simona Calamita per la collaborazione
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