La comicità di Alberto Patrucco, formatosi al Teatro Cabaret La Bullona nel 1976 e ospite di molte trasmissioni televisive come Zelig e Colorado Café, non fa sconti a niente e nessuno. Vedo Buio!, scritto a quattro mani con Antonio Voceri e in scena al Teatro Delfino di Milano il 29 e il 30 gennaio, conferma il suo stile irriverente e allo stesso tempo realista e autocritico. Durante il monologo infatti l’autore-attore non risparmia nemmeno se stesso.
A tu per tu con Alberto Patrucco
In questo monologo tu prendi in giro anche la tua persona. In che modo?
Sono molto pacato nell’esposizione, perché nessuno ha le tavole del mondo in mano né lancia messaggi. L’ironia aiuta a non prendersi sul serio. Un comico che ammicca all’umorismo e poi non lo mette in atto diventa una contraddizione veramente fastidiosa, al di là dell’ossimoro che rappresenta. Ho sempre l’obiettivo di difendere “il tratto satirico” e a volte uno fa confusione perché associa la satira politica alla battuta su Tizio o Caio, ostentando anche una certa par condicio. Credo che difendere l’acume, il graffio e il fatto di non essere scontati sia un modo per mettersi in discussione. Inoltre non tocco mai argomenti già dibattuti e penso che una visione diversa possa dare ossigeno allo spirito.
Chi sono gli altri tuoi bersagli preferiti in questo spettacolo?
I tempi che corrono. Colpisco difficilmente ad personam; se c’è un bersaglio a cui mirare, credo che siamo noi stessi.
Da dove hai preso spunto per mettere in scena “Vedo Buio”?
Le fonti sono tante: è d’obbligo un accenno al Covid fatto con la mia strategia di pensiero. Penso inoltre che rispetto a una volta il mondo del cabaret sia cambiato moltissimo. L’omologazione ha cancellato i cabarettisti trasformandoli tutti in comici. In questo passo dello spettacolo voglio suggerire una strategia ironica che vada a ripescare altrove quel tratto difendendolo a spada tratta.
Possiamo dire che questo spettacolo è uno specchio della società di oggi?
Mi sembra esagerato! (ride). Forse è un piccolo faretto. Quella che vediamo in fondo al tunnel non è neanche una luce ma sono i fari di una macchina che avanza verso di noi!
- Intervista di Andrea Simone
- Si ringraziano Roberta Grillo e Sara Di Giacinto
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