Un trio di attori talentuosi e un’opera di August Strindberg che Friedrich Durrenmatt, direttore del Teatro di Basilea, insoddisfatto degli adattamenti, volle rielaborare nel 1969. Dopo il grande successo in giro per l’Italia e il Canton Ticino, è finalmente a Milano al Teatro Menotti fino al 3 dicembre Play Strindberg. Tratto da Danza macabra, lo spettacolo vede protagonisti Franco Castellano, Maria Paiato e Maurizio Donadoni. La regia è di Franco Però, che ha ambientato la scena in un ring. Qui Kurt, Alice ed Edgar si incontrano e scontrano in un triangolo senza fine, mettendosi alle corde come in un vero match di pugilato.
Parla Franco Castellano
“Qual è la differenza tra un incontro di boxe a tre come questo e uno a due come quelli tradizionali?”
Quest’incontro avviene su un ring che rappresenta una metafora. Qui si svolge una vita familiare deteriorata da 25 anni di incomprensioni e attriti. Dentro questa casa dove vivono i protagonisti arriva il terzo incomodo: il cugino di lei, che a suo tempo in gioventù è stato innamorato della donna. La differenza fra un incontro a due e uno a tre è il fatto che i pugni e le sberle si danno a tre, le battute ficcanti sono moltiplicate per tre. Naturalmente l’ospite e la moglie del mio personaggio si alleano per far sì che io venga emarginato, covando anche una vendetta. Detta così e presentando il titolo “Danza macabra”, uno si aspetta uno spettacolo molto drammatico. Invece le citazioni sono piuttosto grottesche e molto ilari. La voglia di ammazzare un personaggio ingombrante fa in modo che gli sviluppi del dramma diventino esilaranti.
“Quali sono gli elementi psicologici e caratteriali che vengono più fuori in questo incontro?”
L’aspetto straordinario è che molte coppie rivedono se stessi alla fine del rapporto. Oppure ricordano situazioni che sono state raccontate e che fanno sì che la partecipazione sia molto grande. Gli elementi psicologici che emergono di più sono la relazione deteriorata, la voglia di evaderne e allo stesso tempo l’incapacità di farlo.
“E’ l’originalità della situazione la vera forza di questo testo?”
Non credo. Però storicamente questa situazione ha presentato vicende che si sono verificate. Ho sentito parlare anch’io di rapporti deteriorati e sfibranti, che non ce la facevano più a continuare e che rimanevano in piedi quasi per sopportare un’ipotetica condanna dettata da non si sa chi. Oppure erano arrivati al capolinea per l’impossibilità di andarsene. Perché essere legati l’uno all’altro e non potersi lasciare significa che c’è un laccio che ti tiene legato e che non ti fa vivere fuori da quelle quattro mura.
“Il regista ha detto che Durrenmatt si prende gioco di noi. Secondo lei in che modo?”
Sì, proprio così, ma è la vita che si prende gioco di noi. Teniamo però conto che la rielaborazione dello spettacolo è stata scritta da Durrenmatt negli anni Sessanta ed è stata fatta a canovaccio con gli attori che hanno partecipato attivamente alla stesura di questo adattamento. Noi, la scorsa primavera, siamo andati anche in Svizzera. Lo spettacolo ha avuto un’accoglienza trionfale proprio perché tutti hanno riconosciuto i temi sviluppati da Durrenmatt. Anche a Roma ha riscosso un buon successo, ma nel resto d’Italia e in Canton Ticino è andata meglio di ogni aspettativa, perché il regista ha messo in atto un’idea affine a quella dell’autore, toccando dei tasti che riguardano la nostra vita di coppia.