TERESA TIMPANO, “ANTONIO E CLEOPATRA”

In un deserto africano-calabrese compaiono, seduti davanti a un muretto che li protegge e li incornicia, Cleopatra e Antonio, vestiti in abiti moderni, che si rifanno ai caratteri dei protagonisti. Raccontano una storia che passa dalla finzione del dramma storico shakespeariano, alla quotidianità di due persone che vivono i dubbi, le scelte, i combattimenti amorosi, le lotte e i trattati di pace, le rinunce, le assenze, gli incontri, le gioie della fatica di vivere e di amare.

Antonio e Cleopatra… o quel che ricordo è in scena al salone di Pacta dei Teatri dal 20 al 24 ottobre. Ne sono protagonisti Filippo Gessi e Teresa Timpano diretti da Andrea Collavino.

La parola a Teresa Timpano

In quest’opera originale ci sono 34 personaggi. Riadattarla portando solo Antonio e Cleopatra come protagonisti è un modo per non disperdere l’attenzione del pubblico su altri personaggi?

In realtà la cosa che ci interessava di più era capire quanto Antonio e Cleopatra fossero attuali rispetto alla nostra vita odierna. Io e Filippo siamo anche marito e moglie e viviamo una storia parallela, moltissimi anni dopo, rispetto a quella di Antonio e Cleopatra. L’abbinamento con loro due ha reso tutto molto attuale e straordinariamente vicino alla società di oggi, come se l’amore non fosse mai cambiato. Quindi la verità è che ci interessavano solo loro due rispetto al contesto dell’epoca di Shakespeare.

Quali sono i temi principali di questo spettacolo?

Abbiamo lavorato molto partendo da noi e dalle nostre storie. Naturalmente il tema che emerge di più è l’amore. Poi ci sono anche degli argomenti un po’ più piccoli, ma altrettanto importanti: uno di questi è la grande differenza tra Oriente e Occidente, che nel nostro caso sono diventati Nord e Sud, quindi quanto la diversità in una coppia – ma anche tra due persone – possa far procedere una relazione.

Poi c’è la difficoltà di vivere in luoghi più complessi come Alessandria e Roma e nel nostro caso Reggio Calabria e Milano. Sono messe a confronto le problematiche che avverte un estraneo al luogo durante il cammino della sua vita. Noi siamo costretti o vogliamo vivere in un luogo o nell’altro, ma non apparteniamo né all’uno né all’altro perché siamo sempre emigranti. Nel caso dei calabresi è una cosa molto normale, in quello dei milanesi o dei romani dell’epoca era una cosa meno ovvia, ma comunque altrettanto possibile, perché mio marito è un migrante al contrario: è un milanese che vive a Reggio Calabria per scelta e per amore.

Che tipo di amore fu quello tra Antonio e Cleopatra?

Fu un amore che resistette alle avversità e che volle resistere nonostante tutto. Sia Antonio e Cleopatra che io e mio marito abbiamo vissuto moltissimi conflitti nell’arco della nostra vita insieme. Questo è sicuramente un punto cardine: la resistenza all’interno di un conflitto per un grande obiettivo, quello di portare avanti un processo d’amore.

Perché in questa vicenda sembra sempre che Antonio e Cleopatra facciano scelte sbagliate?

Noi non li abbiamo mai giudicati, quindi questo risultato non è mai uscito. Più che altro procedono con la forza dell’amore che si mischia al desiderio di ottenere qualcosa di grande, perché Cleopatra aveva il sogno della grande Alessandria. E’ vero che i fallimenti possono esistere lungo una strada così ardua e un percorso che voleva raggiungere un obiettivo così grande. Quindi credo che la vicenda tra loro due possa sembrare ricca di scelte sbagliate solo dall’esterno perché ci chiediamo com’è possibile che vadano incontro a quella guerra sapendo che verranno sconfitti. In realtà fanno un tentativo o forse un bluff perché devono trovare un escamotage per continuare a procedere. Quindi forse sono strategie. Chissà, non lo sapremo mai.

  • Intervista di Andrea Simone
  • Foto in evidenza del sito di Pacta dei Teatri
  • Si ringrazia Giulia Colombo per la collaborazione
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