“COSI’ E’ (SE VI PARE)”: QUANDO LA VERITA’ E’ SOGGETTIVA

Il Pacta Salone di Milano presenta in prima assoluta fino a domenica 26 marzo Così è se vi pare, uno dei più grandi classici di Luigi Pirandello. Definito dallo stesso autore in una lettera al figlio “d’un’originalità che grida”,  lo spettacolo è diretto da Annig Raimondi. La regista è anche  in scena con Giovanni Calò, Eliel Ferreira de Sousa, Riccardo Magherini, Lorena Nocera,  Antonio Rosti ed Elisa Salvaterra.

Misteri ed equivoci

L’arrivo di una strana famiglia a Valdana porta scompiglio nel paese. Un impiegato di prefettura ha portato con sé la moglie e la suocera. Nel palazzo dove si sono trasferiti ha luogo una discussione. Corre infatti voce che il nuovo inquilino, il signor Ponza, abbia alloggiato la suocera, la signora Frola, nell’appartamento di fronte a quello dei signori Agazzi. Non solo: l’uomo le impedirebbe anche di vedere la figlia, che abita al piano superiore. La curiosità contagia tutti e le supposizioni e i pettegolezzi dei curiosi intorno allo strano rapporto si moltiplicano. Comincia così un vero e proprio interrogatorio ai signori Agazzi.

Intervista ad Annig Raimondi

“A proposito di questa commedia, Pirandello ha detto: “Non so che esito potrà avere, per l’audacia straordinaria della situazione. Non v’è realtà né verità fuori di noi; “essere” e “parere” sono la stessa cosa, poiché esiste solo ciò che noi crediamo che esista”. Vuole commentare queste parole?”

“Sono parole rivoluzionarie e di un’attualità sconvolgente. Quando Pirandello le ha scritte alla fine degli anni 10, stava nascendo la psicanalisi. Il problema era la visione del mondo dell’uomo perché questi si era sempre considerato una figura centrale. Tutto ciò viene messo in discussione fino a far perdere all’essere umano la sua centralità come identità, a smembrarlo e a portarlo a ricrearsi. L’uomo diventa quindi un soggetto che può essere visto in mille modi diversi e la summa del suo discorso porta all’uno, nessuno e centomila del titolo. 

Prendere atto di quest’aspetto rischia di portare l’uomo quasi alla follia. Però è una presa di coscienza necessaria per evitare l’assolutismo della verità. Qui lo spettatore è chiamato a essere giudice di se stesso e degli altri atti, quindi è obbligato a prendere posizione. Ci farebbe comodo se la verità fosse una sola perché l’essere umano cerca stabilità e risposte. Invece è impossibile conoscere il mistero della vita. Questa è la tematica principale: essere forestieri in un passato che non si conosce e venire accettati da una comunità”.

“Si può dire che i personaggi credono a quello che vogliono o che gli fa comodo credere?”

“Sì, perché avere delle certezze ci permette di essere più solidi e di sentirci in grado di giudicare gli altri.  Prendere atto che non è così comporta uno squilibrio nella costruzione di una vita riconoscibile e identificabile dagli altri”.

“E’ dunque una commedia in cui tutto è relativo?”

“Sì. Non esiste una verità. Tutto può avere una spiegazione che fa capo anche a migliaia di punti di vista diversi fra loro. C’è tutto ma non c’è niente: c’è la complessità dell’uomo, ma non la possibilità di definizione assoluta delle cose. La vita richiede un’azione continua, non un giudizio continuo”.

“Perché è inutile cercare la verità?”

“Perché ce ne sono tante. Uno può decidere di andare alla ricerca di tutte le verità possibili. Questa teoria porta anche a uscire un po’ dagli schemi abituali e rischia anche di portare un grande squilibrio, che però fa bene, perché si arriva a una rigenerazione di sé che ci fa rimettere in discussione e che ci invita a non guardare sempre il nostro ombelico”.