La scena è vuota. Solo un microfono che ci trasporta in un’atmosfera anni Cinquanta e ci ricorda la meravigliosa signora Maisel e la sua straordinaria comicità. Una donna elegante arriva sulle note pop di Non sono una signora di Loredana Berté e inizia a raccontare, a raccontarsi. E’ una madre alle prese con il figlio adolescente e con la trasformazione di un dolce pargoletto in un novello maschio bianco eterosessuale e cisgender. E’ una madre femminista che non accetta di cadere – cadendoci – in tutti gli stereotipi di genere che da sempre combatte.
Monica Faggiani è in scena con un testo da lei scritto il 10 e l’11 marzo ad Alta Luce Teatro: AAA Cercasi sostegno per madre single e femminista con figlio maschio e adolescente.
Intervista a Monica Faggiani
Ti sei ispirata al tuo vissuto di madre per scrivere questo testo?
Assolutamente sì. E’ un testo autobiografico ovviamente romanzato rispetto ad alcuni episodi che sono accaduti ma che io poi ho riscritto a portata di storia teatrale.
Quali sono le certezze di una madre che vanno in crisi rispetto all’educazione del proprio figlio?
Tutte! Innanzitutto il fatto di avere potere sul figlio, il fatto cioè che il figlio segua quello che noi chiediamo e diciamo. Quindi quella è la prima grandissima certezza che crolla, perché giustamente il figlio si autodetermina, si autoindividua e quindi si allontana. In secondo luogo, il bene è scontato perché siamo genitori e invece no: ci dobbiamo conquistare il bene e il rispetto. Quindi ovviamente si deve rifare tutto da capo. Terzo, c’è proprio una trasformazione che richiede che noi stiamo fuori dalla vita dei nostri figli. Ovviamente è molto difficile, credo non solo per una madre, ma per ogni genitore.
Perché è inutile e dannoso inseguire l’ideale della mamma perfetta?
Perché non esiste la mamma perfetta, non esistono i genitori perfetti né i figli perfetti. Esistono persone che si mettono in relazione con le fatiche, con le fragilità, con la stanchezza, con la voglia di fare bene, ma non è detto che ci riescano sempre. Bisogna quindi partire da sé innanzitutto e accettare di sbagliare, anche di sbagliare con le persone che si amano di più, che sono ovviamente i propri figli e di vedere dentro i loro occhi l’errore. Questo non è facile, perché la società che ci circonda è quella definita della performance, che ci richiede di inseguire un mito che non c’è, che non esiste, perché noi siamo frangibili, possiamo romperci in qualsiasi momento.
Dobbiamo anche accettare di poterci fare male e soprattutto che i nostri figli si faranno male. Noi non potremo farci niente, perché è giusto così com’è successo a noi. Quindi è molto dannoso, io l’ho inseguito per tanto tempo, volendo essere spumeggiante e affascinante a tutti i costi. Poi ho capito che la relazione anche nelle piccole cose e nei piccoli difetti è quello che conta. Conta l’amore, alla fine.
Ti sei ispirata alla stand up comedy per scrivere questo testo?
Assolutamente sì. E’ una forma che amo molto, perché è molto diretta. Permette di essere sempre senza filtri in rapporto con il pubblico. Questo a me piace. Io mi racconto, anche se è chiaro che ho romanzato, scritto e studiato il testo a memoria, ma io mi racconto, tanto che apro tantissimi momenti al pubblico, facendo salire la luce in sala e confrontandomi, chiedendo, ovviamente in maniera molto divertente.
La stand up comedy è un po’ la mia cifra, perché io sono molto ironica e autoironica. Ho bisogno dell’ironia e dell’autoironia perché mi salva anche dalle situazioni più difficili e quindi riuscire a ridere di me, di come io sono caduta in tanti stereotipi e in tante situazioni in cui mi dicevo che a me non sarebbero mai capitate, è molto comico, se si riesce a guardarlo da fuori. Quindi racconto anche questo lato divertente delle nostre vite, che è sempre fragile, ma è molto divertente.
- Intervista di Andrea Simone
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- Si ringrazia Antonietta Magli