Quando si pensa al teatro, al teatro per eccellenza, il pensiero non può fare altro che correre a Giorgio Strehler. Perché Giorgio Strehler era il teatro. Quello vero. Nessun regista ha saputo incarnare più di lui la quintessenza del palcoscenico, perché nessun regista più di lui ha dedicato una vita intera alla scena. E come ogni grande che si rispetti Giorgio Strehler è uscito di scena in punta di piedi, la notte di Natale del 1997. Mai come oggi, nel centenario della sua nascita, è doveroso rendergli omaggio.
Quale città poteva celebrare meglio i 100 anni della sua nascita, se non la sua amatissima Milano? Quella Milano che lo aveva adottato e dove nel 1947 aveva fondato il Piccolo Teatro insieme a Paolo Grassi e Nina Vinchi. Verrà inaugurata una mostra tra il Piccolo e la Scala, tra lirica e prosa, dislocata in percorsi milanesi, scoperte editoriali e scritti del regista. Il 1° ottobre è prevista una serata a lui dedicata nello storico teatro di via Rovello dal titolo Il mio mestiere è raccontare storie, che vedrà la presenza di Andrea Jonasson, vedova del regista, e dei suoi attori prediletti come Giancarlo Dettori, Ottavia Piccolo, Ferruccio Soleri e Pamela Villoresi.
I festeggiamenti
Si aprono la sera del 14 agosto al Castello Sforzesco, con un evento dedicato al Maestro diviso in due parti: la prima si intitola La voce di Strehler e raccoglie racconti dedicatigli da tre voci complici della sua storia teatrale: Giorgio Bongiovanni, Umberto Ceriani e Stefano De Luca. La seconda parte dell’evento, gratuita e aperta al pubblico, è organizzata dal PIccolo Teatro stesso. Proprio sabato 14, infatti, viene inaugurato il sito giorgiostrehler.it, incentrato sulla storia del regista, con spezzoni di recite e videointerviste. Ciliegina sulla torta, sempre il 14 agosto, il Ministero dello sviluppo economico dà il via alla produzione di un francobollo della serie Le eccellenze italiane dello spettacolo dedicato proprio a Strehler.
Non è da meno la televisione, per essere più precisi Rai 5, da sempre impegnatissima nel (ri)proporre spettacoli teatrali. Alle 21.15 va in onda il documentario Il metodo Strehler. Alle 16.15 l’edizione storica del 1955 di Arlecchino con Marcello Moretti e alle 22.15 Le baruffe chiozzotte, capolavoro goldoniano proposto nella versione andata in scena al Teatro Lirico di Milano nel novembre 1966 con un cast all-star: Lina Volonghi, Corrado Pani, Elio Crovetto, Gianni Garko, Ludovica Modugno, Carla Gravina e Tino Scotti, solo per citarne alcuni.
La sua storia
Istrionico, eclettico, versatile, irascibile, spietato con gli attori ma dal cuore in fondo buono e generoso, grande scopritore di talenti artistici tra cui è impossibile non citare Milva, Ornella Vanoni e Valentina Cortese – le ultime due ebbero con il regista anche un’appassionata e rocambolesca storia d’amore – Giorgio Strehler nasce il 14 agosto 1921 a Barcola, un sobborgo di Trieste. Cresciuto in una famiglia di artisti di stampo matriarcale, il giovane Giorgio sente scorrergli nelle vene l’amore più grande che lo porterà a dedicare una vita intera al teatro.
Nel 1940 si diploma all’Accademia dei Fiolodrammatici di Milano. La seconda guerra mondiale lo porta a rifugiarsi a Mürren, in Svizzera, Nel 1944 viene catturato dai nazifascisti che lo tengono prigioniero per sette giorni. Quella dolorosa esperienza gli darà però lo spunto per comporre il testo di uno dei suoi capolavori più grandi: la canzone Ma mi, musicata da Fiorenzo Carpi, che come ha tenuto a specificare il regista non parla della Resistenza, bensì della capacità di non tradire, di resistere e di saper dire di no.
Nel 1947 la svolta: la fondazione insieme a Paolo Grassi del Piccolo Teatro di Milano. Quel Piccolo Teatro che diventerà la sua casa fino alla fine dei suoi giorni. A inaugurare il teatro la sera del 14 maggio lo spettacolo L’albergo dei poveri di Maksim Gor’kij. Nella sua lunga carriera Strehler ha sempre saputo spaziare tra la tradizione italiana, europea e le più recenti teorie novecentesche dell’arte drammatica. Le sue regie hanno sviscerato i testi di tutti i più grandi autori, con una predilezione particolare per Bertolt Brecht, Antonin Artaud e Louis Jouvet. Prestò sempre grande attenzione all’uso dello spazio scenico, dei ritmi spettacolari e dell’illuminazione.
Il Maestro fu sempre profondamente attento al lavoro degli autori, pur mettendo in atto una regia critica. Il suo obiettivo era quello di restituire dignità al passato con un’interpretazione rispettosa del testo. Il lavoro di ricerca storica era certosino e lo portava a raggiungere lo spirito originario dell’opera, eliminando gli inutili orpelli della tradizione. Il massimo interesse del regista era sempre diretto verso la storia, l’uomo e le sue azioni.
Il 1971 lo vede protagonista di un importante riconoscimento: il premio San Giusto D’oro da parte dei cronisti del Friuli Venezia Giulia. Una delle più grandi soddisfazioni per Strehler arriva però nel 1985. In quell’occasione il governo francese gli mette a disposizione il Teatro Odeon, che diverrà il Teatro d’Europa e che dirigerà con la collaborazione del critico Renzo Tian e del regista Peter Selem. Nel 1990, un’altra importante pietra miliare nella vita del Maestro: la fondazione, assieme a Jack Lang, dell’Unione dei Teatri d’Europa, associazione culturale con l’obiettivo di unire esperienze teatrali comunitarie e scambi culturali. Sempre nel 1990 conquista il Premio Europa per il Teatro.
Oltre il palcoscenico
Vale la pena citare anche le sue esperienze al di fuori del teatro perché Giorgio Strehler fu un uomo che durante la sua vita non si fece mancare veramente nulla, nemmeno i guai con la giustizia. La politica lo vide protagonista come parlamentare europeo del Partito Socialista Italiano e nel 1987 venne eletto al Senato con la Sinistra Indipendente. Il presidente francese François Mitterrand lo insignì con la massima onorificenza attribuita dalla Repubblica francese: la Legion d’Onore. Nel 1992 ottenne all’Università degli Studi di Pavia una laurea honoris causa in lettere.
E poi – come accennato – non mancarono le controversie giudiziarie: il Tribunale di Milano lo processò nel 1993 su richiesta del pubblico ministero Fabio De Pasquale. L’accusa era pesante: truffa e malversazione riguardo all’utilizzo di contributi del Fondo Sociale Europeo. Un calvario durato due anni che vedrà la completa assoluzione e la caduta di tutte le accuse solo nel 1995 in quanto il fatto non sussisteva. Furibondo, Strehler annunciò di volersi dimettere da italiano. Si trasferì così a Lugano dove rimase fino alla fine dei suoi giorni, sottolineando che sarebbe rientrato in Italia solo da innocente.
Una vita per il teatro
Innumerevoli le regie degli spettacoli da lui firmati. Citiamo solo i più importanti: Arlecchino servitore di due padroni, I giganti della montagna, La tempesta, Giulio Cesare, La trilogia della villegguatura, La casa di Bernarda Alba, Il giardino dei ciliegi, El nost Milan, L’opera da tre soldi, Coriolano, L’anima buona di Sezuan, Vita di Galileo, Re Lear, Le baruffe chiozzotte, La tempesta, Faust e L’isola degli schiavi.
Se ne andò nella sua casa di Lugano, la notte di Natale del 1997, durante le prove del suo ultime grande capolavoro: quel Così fan tutte che tanto sperava di vedere in scena nel nuovo teatro oggi a lui intitolato in largo Greppi a Milano e che purtroppo non riuscì a inaugurare. A salutarlo due giorni dopo la scomparsa, con un lungo corteo partito proprio da Largo Greppi e arrivato alla sede storica del Piccolo Teatro di via Rovello, oltre a tutti i protagonisti del teatro italiano che avevano lavorato con lui, c’erano le massime autorità cittadine ma anche tanta gente comune.
Perché Giorgio Strehler era di tutti. E’ stato un uomo, un regista, ma soprattutto un visionario che ha saputo essere divo fino all’ultimo. E lo è ancora oggi, dato che Trieste, la sua città natale, ospita le sue ceneri nel cimitero di Sant’Anna. Mai come nel centenario della sua nascita tutti noi dobbiamo dirgli grazie per quello che ha saputo fare e dato al teatro.