Nella capitale della provincia cinese del Sezuan giungono tre dèi alla ricerca di qualche anima buona. Ne trovano solo una nella prostituta Shen Te, che concede loro ospitalità per la notte. Il compenso offerto per tale atto di bontà consentirà a Shen Te di vivere bene, ma è accompagnato dal comandamento di continuare a praticare la bontà. La brava donna apre una tabaccheria. Presto, però, viene circondata da una schiera di parenti e falsi amici desiderosi di truffarla e approfittarsi della sua bontà, per appropriarsi delle poche fortune che le appartengono…
L’anima buona di Sezuan di Bertolt Brecht è in scena al Teatro Manzoni di Milano fino al 17 novembre. In occasione del centenario della scomparsa di Giorgio Strehler, Monica Guerritore, che ha firmato la regia, ha voluto fare un vero e proprio omaggio al maestro di cui è stata devota allieva, ispirando il proprio spettacolo all’edizione del 1981 con Andrea Jonasson.
Tradotta e adattata da Roberto Menin, la pièce annovera nel cast, oltre alla stessa Monica Guerritore, Matteo Cirillo, Alessandro Di Somma, Enzo Gambino, Nicolò Giacalone, Francesco Godina, Diego Migeni e Lucilla Mininno.
A tu per tu con Monica Guerritore
Uno degli aspetti più importanti dello spettacolo sono i due caratteri opposti di Shen Te: bontà e cattiveria, due facce della stessa medaglia, una sorta di Giano Bifronte. Vogliamo approfondire quest’aspetto, che poi fu la grande intuizione di Bertolt Brecht?
Sì, un testo bellissimo del 1938 in cui Brecht parla della coesistenza di queste due possibilità all’interno dell’essere umano. Se il contesto sociale non mette al riparo da angherie e soprusi, l’uomo ha bisogno di trovare in sé cattiveria, durezza e mancanza di commozione verso gli altri per proteggere se stesso. Questa possibilità esiste all’interno di un unico corpo, in questo caso quello di una donna. Nasce quindi in Shen Te il sentimento della bontà ma anche quello della durezza per difendere quel poco che ha. La linea viene superata nel momento in cui Shen Te vede un bambino che muore di fame. La fame rappresenta proprio il momento in cui lei decide di proteggere dalla povertà suo figlio che sta per nascere.
In che modo arriva la salvezza per i protagonisti?
Attraverso un finale diverso da quelli di Brecht e Strehler. E’ un’invenzione poetica che si rifà alla catena sociale. Il protagonista rimane senza l’aiuto degli dèi che se ne vanno via dicendo una sola cosa: “Ce la farà, ce la farà. Ha molta resistenza”. Lasciano Shen Te da sola a difendersi dalla bontà e dalla cattiveria di un solo personaggio. Invece lei non ci riesce e chiede aiuto. Gli dèi non ci sono e chiama in suo soccorso il pubblico, che però è in platea. Dopo un po’ arrivano gli attori, i suoi compagni. Questi si avvicinano, le mettono una giacca, la confortano e si abbracciano tutti quanti. E’ solo attraverso questa rete, questo gruppo e questa sorta di piramide umana che si dimostra una forza costituita dallo stare insieme delle persone e dall’aiuto reciproco tra loro.
In che modo vuole rendere omaggio a Giorgio Strehler?
Portando in giro per l’Italia il più possibile questa pièce, per dare al pubblico che non ha mai visto uno spettacolo del Maestro l’occasione di vederne uno e per far capire quanto sia grande il teatro di regia, perché Strehler è stato il primo in Europa ad inventarlo e a lavorarci sopra. Io sono sempre andata incontro al teatro di regia perché l’ho avuto come imprinting, sono nata insieme a lui.
Oltre ai produttori e a tutti quelli che dal 2019 hanno creduto in un’operazione come questa che porta in giro un tipo di teatro che ormai non si vede più, io devo ringraziare Milano perché sono stati il Teatro Manzoni e questa città a fare l’omaggio a Giorgio Strehler. Il Manzoni ha preso questo spettacolo, che in teoria avrebbe potuto essere acquistato dal Piccolo Teatro, la casa del Maestro. Invece è stato un teatro privato a volerlo prendere, non soltanto per la bellezza della pièce. Senza il Teatro Manzoni, Milano non avrebbe mai visto questo spettacolo. Sarebbe stata davvero una cosa molto brutta, soprattutto in occasione del centenario della nascita di Strehler, ma non solo.
La platea è sempre piena, la gente si ricorda L’anima buona di Sezuan, e se l’ha già visto lo rivede. Chi invece non l’ha visto, ritrova Strehler nei racconti di una compagnia composta da attori fantastici.
Cosa c’è di diverso rispetto all’edizione del 1981, oltre naturalmente al cast?
Ho fatto dei tagli, realizzando una drammaturgia che comprende l’architettura poetica, lo sviluppo della scenografia e ho attualizzato il testo rendendolo contemporaneo. Il primo tempo dura un’ora e mezza, il secondo trentacinque minuti. Lo spettacolo di Strehler era integrale e durava quattro ore, ma erano altri tempi. Quindi, in sintesi, gli elementi che differenziano il mio spettacolo da quello originale sono tre: i tagli, la drammaturgia e il finale.
- Intervista video di Andrea Simone
- Si ringrazia Manola Sansalone per la collaborazione
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